Per Fendi l’eleganza è rilassata e sediziosa. Il mare d’inverno di Emporio Armani

Per uno di quei capovolgimenti tipici della moda, in questo momento non c’è nulla di più nuovo, di più propulsivo e dirompente del classico, rinnegato fino a pochi anni fa come retrogrado, noioso, appannaggio esclusivo di “cumenda”, magari con la panza, burocrati opachi, farisei delle magnifiche sorti e progressive. Invece no: in questo esatto momento – la puntualizzazione cronologica è d’obbligo – il progresso passa dai capisaldi irrinunciabili, dai pilastri inamovibili e dai codici familiari. Questo vuol dire ritorno al sartoriale, certo, ma anche riscoperta di tutto quel che tanto piace a chi in verità la moda non la segue, e magari la sdegna, ereditando guardaroba intramontabili da avi elegantissimi. Invero, va detto, i classici di nuova generazione sono fuori registro, perennemente incastrati nella convergenza di maschile e femminile che è l’asse portante del presente.

Guida coriacea, ma silenziosa, di questo movimento è Silvia Venturini Fendi. Con la traslitterazione dei classici e la loro risignificazione, il direttore creativo del menswear e degli accessori della maison romana lavora praticamente da sempre, in una maniera personalissima che corrisponde al suo carattere, sedizioso dietro l’apparenza garbata ma ritrosa. La collezione, percorsa da un sentimento di gita in campagna e seguente ritorno in città, potrebbe idealmente avere come icona di riferimento la regina Elisabetta fuori porta a Balmoral, con il fazzoletto in testa, l’impermeabile e la gonna a pieghe. I kilt in effetti non mancano, e così i larghi bermuda con il cavallo così basso da sembrar sottane, mescolati alle polo e alle field jacket dai volumi compatti, con il tocco di luccicanza del lurex che è ormai diventato, a sua volta, un classico. Nell’oscillare tra otium e negotium, tra pelli scattanti e rigori talari, gli accessori introducono una nota pigra e indolente, con tanto di borsa siesta che all’occorrenza funge da cuscino.

Lavora sui classici anche Neil Barrett, designer dal tratto intonso e dalla mirabile precisione, che immagina un incontro tra generazioni. Il guardaroba classico, da nonno, muta allora nei dettagli, nelle proporzioni, nei tessuti, e quel che era vecchio appare nuovo. È classico nella sartorialità, ma abrasivo nel tono dell’espressione l’idioma di Jordanluca, marchio londinese che ha da qualche anno ha scelto Milano per sfilare e che questa stagione si produce in una prova matura, tesa, proiettata verso un brillante futuro.

La malinconia di Federico Cina si fa asciutta, ma vibra sempre di sentimento, mentre Massimo Giorgetti sceglie il mezzanino della stazione della metropolitana di Porta Venezia, inaugurata nel 1964, come luogo della sfilata MSGM, e omaggia Franco Albini, che la progettò, usando a mo’ grafica la sagoma degli inconfondibili corrimano. La collezione oscilla tra dinamismo urbano e pigrizia domestica, tra lunghi cappotti e maglioncini imbottiti, con condimento di luccichii vari, ma i diversi elementi non si combinano in maniera armonica, e alla fine l’omaggio ad Albini e alla milanesità frenetica, così acuto e tempestivo, rimane inespresso.

Da Emporio Armani, infine, è tempo di mare in inverno, sotto la torre di un faro nero che lampeggia in passerella: sentori atlantici ed eleganza da traversata, grandi cappotti e cerate, e gli inevitabili cappelli a bustina, ma anche suit con bluse dello stesso tessuto e ricami che ricordano le concrezioni lasciare dal mare aperto sulle chiglie delle navi. È un Armani in forma smagliante quello qui all’opera, che trova una puntura asciuttezza nell’espressione e che, con inveterato radicalismo, mette gli stessi abiti, riproporzionati, anche addosso alle donne, perché la riscoperta dei classici non può e non deve essere unidirezionale, ma un vero e fluido dialogo.

Fonte: Il Sole 24 Ore