Petrolio, una stretta su Iran e Venezuela mette a rischio il 2% delle forniture

Iran e Venezuela sono tornati nel mirino degli Stati Uniti, che in queste ore si apprestano a un doppio di giro di vite sul fronte delle sanzioni. Una sorta di manovra a tenaglia dagli esiti ancora incerti, ma potenzialmente esplosivi per il mercato del petrolio, che nell’ipotesi più drastica – per quanto improbabile – potrebbe perdere forniture di greggio per oltre 2 milioni di barili al giorno, volumi pari a circa il 2% dell’offerta globale.

A tanto ammontano le esportazioni dei due Paesi, membri dell’Opec ma esentati dai tagli produttivi, che negli ultimi mesi sono riusciti ad incrementare le vendite in gran parte grazie alla minore severità nell’applicazione di sanzioni da parte di Washington: concessioni con cui la Casa Bianca puntava anche ad attutire l’impatto della guerra in Ucraina e delle sanzioni contro la Russia, ma che adesso saranno riviste.

Nel caso del Venezuela, arriva a scadenza giovedì 18 la “tregua” di sei mesi accordata nell’ottobre 2023 dall’amministrazione Usa: Caracas aveva ottenuto di esportare liberamente petrolio in cambio di una serie di impegni per democratizzare il Paese, tra cui la convocazione di elezioni presidenziali. Queste in effetti sono state fissate per il prossimo 28 luglio, ma Washington contesta che su altri fronti l’attuale presidente Nicolas Maduro non ha tenuto fede alla parola data. In particolare solleva indignazione l’esclusione dalla competizione elettorale della principale candidata avversaria, Maria Corina Machado.

Quanto all’Iran, una nuova stretta sulle sanzioni appare ormai inevitabile dopo il lancio di missili contro Israele sabato 13. Mentre l’Unione europea sarebbe orientata ad evitare misure che tocchino il settore dell’energia, l’amministrazione Usa non lo esclude.

«Tutte le opzioni per contrastare il finanziamento dei terroristi dell’Iran restano sul tavolo – ha dichiarato lunedì 15 la segretaria al Tesoro Janet Yellen – L’Iran continua ad esportare un po’ di petrolio e forse potremmo fare di più».

Fonte: Il Sole 24 Ore