Ristoranti, gli italiani hanno rinunciato alle ferie ma non a mangiare fuori casa

Si è chiusa una stagione estiva non brillantissima per il nostro Paese: il calo dei flussi turistici e le difficoltà economiche degli italiani hanno frenato anche la corsa della ristorazione, che aveva visto un primo semestre 2023 particolarmente dinamico. Anche se non si può dire che i clienti – nostrani e stranieri – abbiano disertato i ristoranti made in Italy, le spese delle famiglie per la ristorazione durante l’estate 2023 si sono fermate a 26,7 miliardi di euro, contro i 27,5 miliardi spesi nel trimestre giugno-luglio di un anno fa.

«Se gli italiani sono andati meno in ferie – sottolinea Luciano Sbraga, direttore Centro Studi di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi aderente a Confcommercio) – si sono potuti concedere una cena o una pizza in più vicino a casa: la ristorazione vive anche dei consumi domestici e locali. E anche se per il quarto trimestre prevediamo un ulteriore rallentamento della spesa in ristorazione, il 2023 rappresenta comunque la salita di un altro “scalino” verso il recupero delle pesanti perdite subite nel biennio della pandemia».

La lenta risalita dei pasti fuori casa

Secondo le previsioni della Fipe, infatti, i consumi delle famiglie nella ristorazione saliranno complessivamente a 89,6 miliardi di euro entro fine anno, con un incremento reale dell’1,3% rispetto al 2022. Un buon risultato nel contesto di un generale rallentamento dei consumi, che tuttavia non consente ancora di tornare ai livelli pre covid (nel 2019 erano stati 97,8 miliardi).

La previsione, però, non fa ancora tirare un sospiro di sollievo ai ristoratori stretti tra l’aumento delle materie prime e quello degli affitti. «Nonostante la grande risonanza data ad alcuni casi, come gli “scontrini pazzi” o i “tramezzini divisi” – prosegue Sbraga – in realtà la ristorazione non ha riversato sul conto tutti i rincari patiti: per il 2023 abbiamo previsto un’inflazione al +5,8%, ben al di sotto della media nazionale. L’aumento dei prezzi rispetto al 2019 è del 14,5%, decisamente meno di altre categorie».

Questo ha eroso i margini dei ristoratori. Si pensi che i canoni di locazione in pochi mesi sono tornati a crescere, con aumenti a doppia cifra – e più significativi nelle città o zone a maggiore vocazione turistica – già a partire da aprile.
«Per quanto riguarda i nuovi contratti – spiega Sbraga – siamo tornati ai livelli pre-Covid, dopo la moratoria dovuta alla pandemia. C’è anche una ripresa della domanda. In merito alle rinegoziazioni fatte a suo tempo, nessun proprietario le ha messe in atto sine die». Il che significa che, una volta lasciata alle spalle l’emergenza, si è tornati alla stipula primigenia.

Fonte: Il Sole 24 Ore