Tribù, interazione, co-creazione: come cambiano i social network

Persino Monna Lisa non ne può più. L’opera più celebre al mondo, fotografata ogni anno al Louvre da dieci milioni di visitatori, ora prova a schivare foto e selfie. Così l’illustratrice canadese Anita Kunz ha messo in copertina per il New Yorker una Gioconda che si ripara con le mani dal fuoco incrociato dei mirini di uno stuolo di smartphone. «Abbiamo bisogno di recuperare una nuova autenticità, lontani dai palcoscenici autoreferenziali. Perché in fondo dietro quel volto iperfotografato ci siamo tutti noi che proviamo a sottrarci dall’attenzione dei social», ha scritto Kunz.

I social media stanno morendo, almeno nel modo in cui individui e aziende li hanno vissuti fino ad ora. Così le fa eco su Venture Beat John Kim, co-fondatore e Ceo di SendBird, chat aziendale di ultima generazione adottata da oltre 250 milioni di lavoratori. «Siamo di fronte a una nuova ondata di piattaforme che sta registrando una crescita più graduale ma significativa, soprattutto tra gli zoomer. D’altronde per le aziende resta una verità incontrovertibile: quando non possiedi una piattaforma, non puoi controllare veramente le interazioni con il tuo pubblico», ha scritto Kim.

Forse abbiamo bisogno di altro, all’alba di una nuova era legata a una fruizione differente della nostra presenza online. È quanto emerge anche dalla nuova fotografia annuale di We Are Social e Hootsuite con il rapporto Digital Trends 2023. Oggi 5,44 miliardi di individui utilizzano gli smartphone, il 68% della popolazione mondiale. E ci sono 4,76 miliardi di utenti sui social, pari a poco meno del 60%. Tuttavia la crescita è rallentata negli ultimi mesi, con un timido 3% anno su anno. In fondo più indizi fanno una prova: dopo la sbornia che ha interessato tutte le fasce anagrafiche quasi indistintamente, il mercato registra una congiuntura negativa per quelle piattaforme pionieristiche e una virata verso gruppi ristretti o hub di co-creazione. Perché mai come in questa fase i media sociali per come li abbiamo conosciuti finora stanno vivendo una crisi di identità senza precedenti, sia reputazionale che economica. Determinando uno spostamento di baricentro che dalla mera narrazione autoreferenziale vira verso un’autentica co-creazione.

«L’uso dei social ha rappresentato una novità cui non abbiamo potuto sottrarci. La partecipazione diretta alla vita delle persone e l’essere protagonisti in una community sono stati elementi centrali nella scelta obbligata a essere attivi online. Poi tutto è cambiato: a causa dell’algoritmo oggi se non si sponsorizza, si ha difficoltà a generare attenzione e rilevanza. Ma c’è altro. I social si sono evoluti perché sono arrivati nuovi utenti molto giovani che hanno iniziato a starci dentro diversamente – afferma Lella Mazzoli, professore emerito di Sociologia della comunicazione dell’Università di Urbino -. Facebook è in declino e Twitter nel caos. Ora che siamo approdati come naufraghi su questa spiaggia, possiamo solo guardare con occhi nuovi e trovare un po’ di sollievo. D’altronde i social non sono mai stati un modo naturale per lavorare, giocare e socializzare, anche se sono diventati pratica consolidata», ha scritto Ian Bogost su The Atlantic.

Una rivoluzione che ridefinisce linguaggi, canali, regole di coinvolgimento e che riscrive le dinamiche del gioco legate ai consumi e alla socialità. Così non stupisce che il Guardian, alla fine dello scorso anno, abbia scelto per la prima volta di ribaltare l’immancabile classifica dei Ceo tecnologici segnalando quelli peggiori, definendoli senza mezzi termini egocentrici e deliranti. D’altronde oggi si impongono le logiche di gioco con Fortnite, le conversazioni estese di Twitch, l’intrattenimento negli stream video con TikTok, i filtri estremi di Snapchat o ancora le infrastrutture decentralizzate tipiche della blockchain. Si va verso una logica che valorizza nicchie e coda lunga dei contenuti. Audio, foto, video e giochi abitano nuove piazze dove si costruisce, oltre che condividere.

Fonte: Il Sole 24 Ore