Vini Santa Margherita: «Così il lockdown ha cambiato i mercati»

L’emergenza Covid e la prolungata chiusura di bar e ristoranti hanno privato il mondo del vino non solo di un fondamentale canale di sbocco ma anche di una delle principali leve di marketing. In questi mesi è emerso in maniera evidente come negli anni le cantine italiane abbiano in gran parte delegato a ristoranti e sommelier il fondamentale ruolo di creazione del valore.
E se da un lato mediante la grande distribuzione e l’universo delle vendite online è stato possibile compensare, almeno in parte, il crollo delle vendite nel canale horeca (bar, enoteche, ristoranti), sotto il profilo del marketing è rimasto invece un vuoto che va ora colmato e la cui soluzione non può essere affidata alla sola auspicabile riapertura.

È in questa direzione che si sta ad esempio muovendo il Gruppo vinicolo Santa Margherita, azienda che fa capo alla famiglia Marzotto da oltre 172 milioni di euro di fatturato e 22 milioni di bottiglie vendute, stabilmente tra le prime dieci cantine italiane. Il gruppo raccoglie diverse marchi: Ca’ del Bosco, Kettmeir, Lamole di Lamole, Vistarenni, Sassoregale, Terrelìade, Mesa e Torresella.

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«Il 2020 è stato un anno complesso – spiega l’ad del Gruppo vinicolo Santa Margherita, Beniamino Garofalo – il fatturato è calato dell’8,8% ma l’Ebitda è passato da 55 a 58 milioni. Ci ha aiutato essere presenti in molti paesi. Siamo andati bene in Nordamerica dove l’horeca pesa per il 15% e meno bene in Europa dove bar e ristoranti coprono in media il 50% del mercato. Ma soprattutto sono emerse tendenze nuove che difficilmente scompariranno».

È esploso l’e-commerce e la tendenza dei consumatori a rivolgersi alle piattaforme online; sta aumentando l’attenzione della grande distribuzione ai vini premium e la propensione a replicare tra le mura domestiche le esperienze sul cibo e sul vino finora effettuate al ristorante. Una dinamica che negli Usa durante il lockdown ha premiato il Pinot Grigio Santa Margherita con vendite aumentate del 32%.

«Bar e ristoranti torneranno a essere nostri ambassador – aggiunge Garofalo – ma saranno profondamente cambiati da fenomeni di concentrazione. I ‘casual diving’ legati a grandi catene internazionali sbarcheranno in forze anche da noi, in Uk rappresentano oggi il 21% del mercato in Italia solo il 6%. Ma soprattutto questi cambiamenti impongono al mondo del vino un cambio di prospettiva: passare dal B2B al B2C con il ricorso a strategie completamente nuove per instaurare un filo diretto con il mercato perché è il consumatore che compra il vino non il ristoratore».

Fonte: Il Sole 24 Ore