Cookie, il lento addio: perché ora è rinviato al 2025, per motivi di antitrust e privacy

L’addio ai cookie richiederà, ancora una volta, più tempo del previsto. Il mercato della pubblicità online – 600 miliardi di dollari l’anno – sembra non potere fare a meno così facilmente di questi piccoli file di tracciamento della nostra navigazione.
Google ha appena annunciato, per l’ennesima volta, un rinvio alla messa a bando dei cookie nel suo browser Chrome, che è il più diffuso al mondo. Doveva avvenire a fine 2024, ora se ne riparlerà a inizi 2025. Forse: Google aveva fissato il primo addio a gennaio 2020, poi è stato un continuo prendere atto che era troppo presto: sia per l’ecosistema della pubblicità online sia per i regolatori.
Il motivo di quest’ultima decisione viene in particolare dalle autorità antitrust inglesi. In una nota pubblicata sul proprio blog Google ha affermato infatti che il Competition and Markets Authority (Cma) del Regno Unito ha bisogno di “tempo sufficiente per esaminare tutte le prove, compresi i risultati dei test dell’industria” sulla Privacy Sandbox, che sono le tecnologie messe a disposizione da Google ai pubblicitari per sostituire i cookie.
Solo se la sandbox si rivelerà all’altezza, non verranno danni alla concorrenza per la morte dei cookie e allora l’autorità potrà dare via libera.
Bisogna sapere infatti che le aziende del settore pubblicitario si sono lamentate con Google e con la Cma per i limiti della sandbox. Accusato di non riuscire a compensare le funzionalità perse dai cookie. Temono inoltre che l’addio ai cookie non farà altro che rafforzare la posizione di Google, già super dominante nel mercato.
Google ha così tanti servizi e tanti account registrati che non ha bisogno dei cookie per tracciare gli utenti.
In particolare stiamo parlando di un tipo specifico di cookie, detti di “terze parti” o di tracciamento: file che seguono gli utenti su internet. Gli inserzionisti li usano per qualsiasi cosa, dal targeting degli annunci alla misurazione dell’efficacia delle campagne di marketing.
Apple e Mozilla hanno già bloccato i cookie di terze parti nei propri browser, ma è la svolta in Chrome – usato da due terzi degli utenti del mondo – che farà la differenza; ecco perché da anni è attesa e temuta dagli inserzionisti.
Come se non bastasse, è intervenuto anche il regolatore della privacy del Regno Unito, l’Information Commissioner’s Office (Ico): ha comunicato a Google di non essere soddisfatto della sandbox dal punto di vista privacy. Un parere che Cma terrà in considerazione. l’Ico ha scritto in una bozza di rapporto questo mese che gli strumenti Privacy Sandbox di Google lasciano varie lacune che gli inserzionisti potrebbero utilizzare per identificare gli utenti, che invece dovrebbero essere anonimi. La settimana scorsa Google ha ribadito invece che gli strumenti erano stati progettati per migliorare molto la privacy e che l’azienda avrebbe lavorato a stretto contatto con l’Ico.
Un portavoce della Cma ha dichiarato che l’autorità di regolamentazione prevede di collaborare con l’Ico per concludere la revisione entro la fine dell’anno.
Ora l’obiettivo di Google e di bandire i cookie (di terze parti) a inizio 2025, se riuscirà a convincere rapidamente Cma. Già a gennaio 2024 in effetti Google aveva cominciato a limitare i cookie per l’1% degli utenti di Chrome nell’ambito di quello che ha definito un test.
“Riconosciamo che ci sono continue sfide legate alla conciliazione di feedback divergenti da parte del settore, degli organismi di regolamentazione e degli sviluppatori, e continueremo a collaborare strettamente con l’intero ecosistema”, ha scritto Google.
Google ha definito inesatte alcune delle critiche e ha affermato che alcune funzionalità di tracciamento saranno limitate di proposito per migliorare la privacy. L’azienda ha dichiarato che non concederà un trattamento preferenziale ai suoi prodotti durante la transizione.
Il rinvio darà più tempo ai pubblicitari per prepararsi, ha dichiarato Paul Bannister, chief strategy officer della società di media Raptive.
“La privacy delle persone è importante e lo è anche il guadagno degli editori che creano ottimi contenuti per queste persone”, ha dichiarato Bannister.

Fonte: Il Sole 24 Ore