Facebook, l’outing in un contesto pubblico non autorizza la pubblicità personalizzata

L’outing in un contesto pubblico, rende il dato manifestamente pubblico, ma questa presa di posizione, di per sé, non autorizza i social al trattamento di tali dati a fini di pubblicità personalizzata. Sono queste le conclusioni alle quali è giunto l’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Rantos nella causa C-446/21, promossa davanti ai giudici austriaci, da un utente di Facebook che aveva accettato le condizioni poste dal social media ma considerava illecito il trattamento dei suoi dati personali, per aver ricevuto spesso pubblicità rivolte a persone omosessuali e inviti a eventi corrispondenti. Pubblicità non basate direttamente sul suo orientamento sessuale ma su un’analisi dei suoi centri d’interesse. Successivamente, in occasione di una tavola rotonda, l’utente social aveva parlato pubblicamente della propria omosessualità, senza pubblicare nulla al riguardo sul suo profilo Facebook.

I limiti di trattamento per Facebook

La vicenda che aveva coinvolto, Meta Platforms Ireland Limited, già Facebook Ireland Limited, era finita all’attenzione della Corte suprema austriaca che ha rivolto una serie di domande pregiudiziali relative all’interpretazione del regolamento generale sulla protezione dei dati (Rgpd) I giudici austriaci hanno chiesto alla Corte di Lussemburgo se una rete come Facebook possa analizzare e trattare tutti i dati personali di cui dispone senza limiti di tempo a fini di pubblicità mirata. Inoltre, chiede alla Corte se la circostanza che una persona si sia espressa circa il proprio orientamento sessuale in occasione di una tavola rotonda permetta il trattamento di altri dati in proposito, al fine di proporle una pubblicità mirata.

Riguardo alla prima questione, l’avvocato generale Athanasios Rantos propone alla Corte di dichiarare che il Rgpd osta a che alcuni dati personali possano essere trattati a fini di pubblicità mirata senza limiti di tempo. Il giudice nazionale deve poter valutare, in particolare sulla base del principio di proporzionalità, in che misura il periodo di conservazione e la quantità dei dati trattati siano giustificati alla luce dell’obiettivo legittimo di trattamento di tali dati ai fini di una pubblicità personalizzata. A proposito della seconda questione, l’avvocato generale ritiene, fatte salve le verifiche in punto di fatto spettanti alla Corte suprema austriaca, che il fatto che l’utente Facebook si sia espresso con piena consapevolezza sul proprio orientamento sessuale nell’ambito di una tavola rotonda aperta al pubblico possa costituire un atto tramite il quale ha «reso manifestamente pubblico» tale dato ai sensi del Rrdp. Rantos ricorda che, sebbene i dati relativi all’orientamento sessuale rientrino nella categoria dei dati particolarmente protetti che sono oggetto di un divieto di trattamento, questo divieto non si applica qualora tali dati siano resi manifestamente pubblici dalla persona interessata. Tuttavia, una simile presa di posizione, di per sé, non autorizza il trattamento di tali dati a fini di pubblicità personalizzata.

La consapevolezza di rendere noto il dato

Nel caso esaminato l’avvocato generale considera la volontà o perlomeno la consapevolezza da parte dell’interessato di rendere pubblico il suo orientamento sessuale. Vista la natura aperta della tavola rotonda, trasmessa in diretta e successivamente ritrasmessa in streaming e l’interesse del pubblico per il tema affrontato, era chiaro che la dichiarazione del ricorrente avrebbe potuto raggiungere un pubblico indefinito, ben più numeroso di quello presente in sala. Inoltre – per l’Ag – è perfettamente possibile supporre che, parlando apertamente del proprio orientamento sessuale nel contesto di un evento aperto e accessibile alla stampa, il ricorrente abbia avuto, se non l’intenzione, almeno la piena consapevolezza di renderlo manifestamente pubblico.

Il rischio di atti discriminatori

Rantos ricorda che obiettivo della protezione assicurata dal Rgpd è, a suo avviso, evitare che la persona interessata sia esposta a conseguenze pregiudizievoli, come in particolare il disprezzo pubblico o atti discriminatori, derivanti, da una percezione negativa, <da un punto di vista sociale o economico, delle situazioni elencate>. La disposizione prevede dunque una particolare protezione di tali dati personali tramite un divieto di principio non assoluto, la cui applicazione nel caso di specie è subordinata alla valutazione dell’interessato, che è colui che meglio di tutti può valutare le conseguenze pregiudizievoli che potrebbero derivare dalla divulgazione dei dati in questione e che, se del caso, può rinunciare a tale protezione o non avvalersene, con piena cognizione di causa, rendendo manifestamente pubblica, di tale regolamento, la propria situazione e, in particolare, il proprio orientamento sessuale.

Fonte: Il Sole 24 Ore