Cosa sono i 3D-Bricks? Con il Dna una nuova famiglia di nanotransistor 3D

Le strutture del Dna per un’elettronica di alto livello con alte prestazioni e costi più contenuti. La strada per le aziende tecnologiche del “prossimo futuro” passa per il connubio tra biologia ed elettronica. Ed è seguendo questo fine, ossia trasferire l’approccio biologico nella produzione dei nanotransistor tridimensionali per creare una nuova generazione di componenti elettronici di dimensioni nanometriche e costi di produzione bassi, che nasce il progetto uropeo (finanziato per 3,7 milioni di euro) denominato 3D-Bricks. A portarlo avanti è il gruppo di lavoro coordinato da Denis Garoli, docente dell’università Modena Reggio Emilia e ricercatore Iit, il ricercatore Iit Remo Proietti Zaccaria ricercatore e a cui partecipano sia università sia centri ricerca distribuiti tra Spagna, Germania, Belgio e Svizzera.
«Le attuali tecnologie impiegate nella nanoelettronica utilizzano dispositivi basati su semiconduttori a ossido metallico, le cui prestazioni sono vicine al loro limite massimo – chiariscono dall’Istituto italiano di tecnologia -. La comunità scientifica non ha ancora identificato tecnologie alternative in grado di garantire progressi nella potenza di calcolo e nell’efficienza energetica». Da qui la decisione del gruppo che lavora al progetto 3D-Bricks di focalizzare l’attenzione «sull’uso dei nanotubi di carbonio, la cui dimensione pari a un singolo atomo conferisce proprietà chimico-fisiche promettenti, combinati con tecnologie basate su Dna, con l’obiettivo di fabbricare nano-transistor del tutto innovativi sia per le ridotte dimensioni e le alte prestazioni, che per i contenuti costi di produzione».
Il progetto, a sentire i ricercatori, ha l’obiettivo di rivoluzionare lo scenario attuale, dato che «le tecniche utilizzate per realizzare transistor con nanotubi di carbonio non sono affatto semplici». Il modo è presto spiegato: «Il progetto 3D-Bricks introdurrà un approccio biologico, nel senso che sfrutterà la capacità naturale del Dna di realizzare strutture tridimensionali e bidimensionali, considerando strutture composte da Dna come maschere guida per la costruzione dei transistors. I singoli nanotubi di carbonio saranno usati come i “mattoncini” che andranno a comporre il materiale, metallo o semiconduttore, auto-assemblandosi mentre seguono la struttura di riferimento».
Con il risultato che l’utilizzo di nanomateriali ancorati alle strutture guida fatte di Dna «permetterà da una parte di ridurre la complessità di realizzazione dei transistor e i costi di produzione, dall’altra di ottenere strutture la cui risoluzione spaziale è molto piccola, delle dimensioni della doppia elica che è di circa 2 nanometri». All’approccio biologico, utilizzato per realizzare un singolo strato di materiale si accompagnerà quello elettronico. «Infatti, quando un singolo strato di materiale auto-assemblato sarà pronto, i ricercatori aggiungeranno altri strati tramite lo stesso processo di bio-fabbricazione, inserendo le logiche elettroniche e ottenendo infine un nano-transistor compatto ed efficiente». Soluzioni che, come sttolineano gli esperti, apriranno la strada alle aziende tecnologiche «del prossimo futuro».

Fonte: Il Sole 24 Ore