Dal visto alle restrizioni Covid: il “calvario” da affrontare per gli studi all’estero dei figli

Pochi giorni prima della partenza, l’ultima video call su Zoom, l’ennesima di una lunga serie, ci ha tenuto incollati al pc per due ore. L’oggetto dell’incontro virtuale? Le ultime raccomandazioni per il viaggio aereo, le indicazioni sui termini delle coperture assicurative in caso di malattia (positività al Coronavirus ovviamente inclusa) e quelle per la quarantena obbligatoria da osservare al momento dell’arrivo (presso le case degli host o di hotel selezionati), i promemoria sui documenti da portare e da esibire ai controlli doganali. E ancora: le opzioni per attivare una Sim telefonica con un numero locale, i consigli sui bagagli da imbarcare e la raccomandazione di avere a portata di mano i dispositivi elettronici con carica sufficiente per accenderli. Nell’era del Covid, affrontare l’esperienza di un semestre di studio all’estero è qualcosa che ragazzi e genitori non scorderanno facilmente. E lo stesso vale per il personale delle agenzie che organizzano questi viaggi.

La storia di Gaia, 17 anni (figlia di chi firma questo articolo Gianni Rusconi), in partenza sabato 16 gennaio per il Canada con destinazione Kelowna (cittadina canadese a 380 km da Vancouver), è simile a quella di tanti altri studenti italiani già decollati (o in procinto di farlo) verso il Nord Europa o il Nord America. Ed è una storia che suona per certi versi paradossale in giorni in cui molti suoi coetanei “occupano” le piazze di alcune città e i cortili di istituti e licei per rivendicare il diritto alla didattica in presenza. Nell’era del Covid-19 succede quindi anche questo: tutti a casa con la Dad (Gaia ovviamente compresa, fino all’ultimo suo giorno di scuola italiano) e pochi fortunati pronti a volare oltreoceano per coronare l’idea di studiare all’estero. Ma per arrivare a concretizzare questa idea, gli ostacoli da superare sono stati tanti, e a volte sono sembrati anche troppi.

Loading…

Il cambio di programma

A dicembre 2019 decidiamo di accontentare il desiderio di nostra figlia e ci affidiamo a un’agenzia milanese per i primi colloqui conoscitivi. La scelta della destinazione cade su Brighton, Regno Unito, una località affacciata sulla Manica molto frequentata dagli studenti italiani. Troviamo la scuola, selezioniamo alcuni corsi e iniziamo a preparare la mole di documentazione necessaria, (versando il sostanzioso anticipo richiesto) per accedere all’anno di studio. Tutto a posto, sembra, e scatta il lungo “count down” in attesa della partenza fissata per settembre 2020. Poi irrompe il Coronavirus, e le speranze che tutto si risolva in tempi brevi cascano una dopo l’altra. Arriviamo a maggio, la situazione pandemica è ancora grave e ci sono delle scadenze di pagamento da onorare con i partner internazionali dell’agenzia. Si rinuncia al viaggio? Si pagano le penali e l’idea torna nel cassetto? No, ma si freme per capire cosa fare. La soluzione si chiama Canada, Vancouver: viene meno l’ipotesi dell’intero anno scolastico (non ci sono i tempi tecnici per organizzare il tutto) ma per il semestre (da gennaio a giugno) ci sono disponibilità. Un rapido consulto familiare sulle strutture scolastiche e le attività collaterali, una veloce chiacchierata con gli insegnanti di Gaia e scatta l’operazione “semestre quarta liceo” all’estero bis.

La trafila infinita per i documenti

Tornati dalle vacanze estive, riparte l’iter delle pratiche burocratiche da espletare per l’espatrio: dobbiamo ovviamente ricompilare l’intera mole di documenti già prodotta per l’Inghilterra, perché il Canada ne richiede altri. Poche settimane di tranquillità ed ecco il nuovo stop ai viaggi internazionali imposto dalla seconda ondata del Coronavirus. Passiamo dall’arrabbiatura allo scoramento: non resta che aspettare nuovi aggiornamenti, ma la sensazione di andare verso una definitiva cancellazione del viaggio è sempre più forte. Alla fine di ottobre, invece, cambia di nuovo lo scenario. Riceviamo dall’agenzia una mail che ci informa dell’apertura, da parte del Governo canadese, di alcuni corridoi per motivi di studio. Il distretto di British Columbia, il cui centro più importante è Vancouver, è fra questi. Si parte. Ma è proprio da questo momento in poi che inizia una sorta di corsa contro il tempo, chiamiamolo pure “calvario” fatto di mail, telefonate, ricerche online e quant’altro per ottenere tutti gli ulteriori documenti richiesti dal Centro Assistenza Visti (CAV) per potersi imbarcare e non essere respinti alla frontiera.

Il comune di Milano …. e la trasferta a Roma
per le impronte biometriche

Due, fra i tanti, gli aneddoti che rimarranno nella nostra memoria: l’ottenimento del certificato/atto di nascita di Gaia in lingua inglese e la trasferta a Roma presso il Visa Application Center per la registrazione biometrica. In mezzo non ci facciamo mancare un piccolo cambio di programma: non si va più a Vancouver ma a Kelowna, meta suggerita dall’agenzia per avere la “certezza” di ottenere tutta la documentazione in tempo utile per l’inizio del semestre scolastico. Dicevamo dei due aneddoti. Una volta appurata la necessità dell’atto di nascita in lingua inglese, ci attiviamo presso il Comune di Milano (dove Gaia è nata): siamo però a inizio dicembre, gli sportelli dell’anagrafe sono chiusi per le restrizioni anti-contagio, il primo appuntamento disponibile è a inizio febbraio e online questa pratica non si può richiedere. Dal centro assistenza riceviamo solo una telefonata che ci conferma come non ci siano soluzioni alternative all’appuntamento fisico nel nuovo anno e, quindi, fuori tempo massimo. Ci affidiamo allora all’agenzia esortando chi di dovere a trovare una soluzione, forti dall’avere in mano una copia originale in italiano del documento, richiesta qualche mese prima per il rilascio del passaporto: il CAV si attiva con le controparti canadesi e arriva il via libera (nel frattempo anche la domanda dell’atto di nascita effettuata online sul portale del Comune non ottiene risposta…).A Roma ci andiamo (Gaia e il sottoscritto) il 16 dicembre, andata e ritorno in giornata in treno con l’Italia in zona gialla-arancione-rossa, senza sapere se i tempi di rilascio del visto sono compatibili con quelli della partenza prevista per metà gennaio (gli addetti dell’Application Center parlano in modo vago di settimane…). La visita dura poco più di 10 minuti, il tempo necessario per rispondere a due domande sulle generalità, scattare una foto riservata agli atti e prendere le impronte digitali. Tutte cose che, peraltro, sono già disponibili sul passaporto. Pochi giorni prima di Natale arriva la sospirata conferma che la pratica (almeno lato Visto) è stata accettata e completata.

Fonte: Il Sole 24 Ore