«Freaks Out», l’ambizioso circo di Mainetti sbarca a Venezia

Il giorno di «Freaks Out»: dopo diversi anni di lavorazione, alla Mostra del Cinema di Venezia è arrivato finalmente il momento del secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti, regista che aveva esordito con «Lo chiamavano Jeeg Robot».

Ambientato nella Roma del 1943, il film ha come protagonisti Matilde, Cencio, Fulvio e Mario, che vivono come fratelli nel circo di Israel. Quando quest’ultimo scompare misteriosamente, forse in fuga o forse catturato dai nazisti, i quattro “fenomeni da baraccone” restano soli nella città occupata. Qualcuno però ha messo gli occhi su di loro, con un piano che potrebbe cambiare i loro destini… e il corso della Storia.

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Si apre con due sequenze potentissime «Freaks Out», che mostra inizialmente lo spettacolo dei numeri circensi e, in seguito, la brutalità dei bombardamenti della guerra: un’alternanza tra poesia e crudeltà che sarà uno degli elementi centrali della pellicola.

Mescolando atmosfere magiche e tragiche, Mainetti firma un lungometraggio di grande ambizione, che non guarda però molto ai classici che raccontano il mondo del “freak show” (dal capostipite di Tod Browning, «Freaks», al magnifico «Elephant Man» di David Lynch), ma più a un’estetica contemporanea, che passa da «Bastardi senza gloria» di Quentin Tarantino e arriva al cinema di supereroi.

Un film affascinante, ma confuso

Non manca di certo il fascino al film, ricco di sequenze di forte impatto e capace di dare vita a un buon intrattenimento. Peccato però che nella seconda parte tutto quanto – dalla scrittura dei personaggi alla messinscena – finisca troppo sopra le righe, tanto da rendere la visione eccessivamente confusa.Una lunga battaglia che arriva con l’approssimarsi della conclusione risulta decisamente prolissa e ridondante, tanto da togliere parte dell’interesse che il film aveva creato inizialmente.

Fonte: Il Sole 24 Ore