I dolori di Facebook: dai documenti riservati spuntano nuove accuse contro la società

Sono passati poco meno di quattro anni dallo scandalo Cambridge Analytica, che per la prima volta ha messo veramente in discussione la tenuta di Facebook e addirittura la carica di Mark Zuckerberg. Oggi molti analisti ritengono nerissimo quel periodo per l’azienda californiana. E lo conferma anche l’andamento storico del titolo in Borsa. Ma sulla testa di Facebook è tornata pioggia sporca. E l’azienda sta attraversando un nuovo grande scandalo, che sta mettendo a nudo tutte le fragilità del gigante di Zuckerberg.

Tutto trae origine da alcuni documenti forniti al Congresso americano dalla ex dipendente Frances Haugen. Documenti che sono finiti nelle mani di alcune testate giornalistiche. Migliaia di pagine che svelano informazioni più o meno nascoste sull’azienda di Menlo Park. E che provano a inchiodare Zuckerberg su alcuni punti chiave: il social “blu” non fa abbastanza per garantire la sicurezza dei suoi 2,9 miliardi di utenti, minimizza il danno che può causare alla società e ha ripetutamente ingannato gli investitori e gli utenti. Per ora, da queste pagine sono emerse almeno 4 rivelazioni ingombranti. Vediamole.

La moderazione

Facebook è spesso accusato di non riuscire a moderare l’incitamento all’odio sui suoi siti in lingua inglese, ma il problema pare sia addirittura peggiore nei Paesi dove si parlano altre lingue. E questo – secondo i documenti consegnati al Congresso – anche dopo aver promesso di investire di più dopo essere stato accusato di aver “facilitato” il genocidio in Myanmar nel 2017. Un documento del 2021 metteva in guardia sul numero molto basso di moderatori umani di contenuti nei dialetti arabi parlati in Arabia Saudita, Yemen e Libia. Un altro studio sull’Afghanistan, dove Facebook ha 5 milioni di utenti, ha scoperto che anche le pagine che spiegavano come segnalare l’incitamento all’odio erano tradotte in modo errato. I fallimenti si sono verificati anche se la ricerca di Facebook ha contrassegnato alcuni Paesi come “ad alto rischio” a causa del loro instabile panorama politico e della frequenza di incitamento all’odio che compariva online.

Secondo un report interno, la società ha stanziato l’87% del suo budget per lo sviluppo di algoritmi proprietari capaci di rilevare fake news negli Stati Uniti nel 2020, contro il 13% investito nel resto del mondo. E per questo Frances Haugen ha scritto che Facebook dovrebbe essere trasparente sulle risorse investite nei vari Paesi e nelle varie lingue.

Facebook non conosce i suoi algoritmi

Diversi documenti interni, finiti nelle mani del Congresso americano, dimostrano che Facebook stessa nutre molte perplessità circa i propri algoritmi. Una nota del settembre 2019 ha rilevato che gli uomini ricevevano il 64% in più di incarichi politici rispetto alle donne in «quasi tutti i Paesi», con un problema particolarmente ampio nei Paesi africani e asiatici. Mentre gli uomini erano più propensi a seguire gli account che producono contenuti politici, il documento evidenziava che anche gli algoritmi di classificazione dei feed di Facebook avevano svolto un ruolo significativo.

Fonte: Il Sole 24 Ore