Il coaching e lo sviluppo del talento: buone pratiche per le risorse umane in azienda

Come elevare le capacità dei singoli

La funzione HR, in questo contesto, ha un compito importantissimo e deve dimenticarsi di essere il “maggiordomo del potere” per diventare un architetto di biografie, andando dal “potere” (il top management) per convincerlo a fare coaching per il bene dell’organizzazione. Ma attenzione, non stiamo parlando di ruoli, bensì di elevazione delle capacità del singolo e di ampliamento dell’elastico di attività delle persone: non basta avviare un progetto di coaching e fermarsi al dire “l’ho fatto”. Non funziona così. Se si potenziano le emozioni occorre che queste trovino modo di esprimersi. Ed è per questo che è necessaria una regia e una strettissima connessione tra chi porta in azienda il coaching e la figura Hr che gestisce le persone, pena il rischio di un pericoloso disallineamento.

Porto ad esempio l’esperienza che ho vissuto in Enel, dove ho fatto lavorare diversi giovani in task force su progetti sperimentali e di startup: rimanevano degli impiegati o dei quadri ma potevano confrontarsi con manager e dirigenti e avevano la possibilità di far sbocciare i loro talenti e di fare un passo in avanti nel loro percorso di carriera. Il risultato è l’obiettivo a cui tendere e e va raggiunto con il benessere e la motivazione. Se manca una delle componenti di questo triangolo magico finiamo nel triangolo drammatico di Karpman, che teorizzava come le persone, in mancanza di coerenza, diventano vittime, carnefici e salvatori. E quando, a turno, un individuo dell’organizzazione si sente vittima di un persecutore, le organizzazioni muoiono. La fantasia di essere architetti di biografie è dunque il presupposto per fare il coaching, è la conditio “sine qua non” per evitare che si trasformi in un boomerang.

Esempi concreti che confermano come il coaching, e la formazione, possano portare l’organizzazione a scoprire e potenziare i talenti per fare un vero salto in avanti grazie a persone più capaci e motivate certo non mancano. Torno alla mia esperienza in Enel per citare questo aneddoto, che credo sia significativo. Quando fui nominato direttore del personale, chiesi ai gestori del personale di farmi vedere gli organigrammi e di colorarli non con le valutazioni di merito ma con gli archetipi delle persone: “razionale”, “estroverso”, “innovativo” e vari altri. All’inizio tutti erano dello stesso colore, nel giro di tre anni le strutture sono diventate tutte colorate. Il coaching, in questo caso, è stato il valore aggiunto che ha permesso di ordinare la diversità dei profili e le differenti attitudini dei candidati, nonché la leva che mi ha aiutato a colorare le strutture facendo fiorire fertilità culturale all’interno dell’organizzazione.

Molti direttori del personale si interrogano su come modulare il coaching per arrivare sempre al risultato massimo possibile, scegliendo fra il modello “ortopedico” e correttivo e quello “prospettico” e di accompagnamento. Ebbene, il primo passo da fare è sempre quello di maturare la consapevolezza che l’ambizione ultima del coaching è aiutare le persone (e quindi l’organizzazione) ad intraprendere un cammino rispetto a un obiettivo finale. Per raggiungerlo, una strada da seguire è quella di affidarsi a coach esterni per i profili più complessi e con le maggiori potenzialità della scala gerarchica e, simultaneamente, a una pipeline di coach interni (gestori del personale, psicologi, persone di marketing) per le altre figure, surfando fra le disponibilità presenti in azienda, facendo formazione ai formatori e creando viralità. In senso immunitario, come un anticorpo.

Le prospettive per il futuro

Provando ad immaginare il coaching fra qualche anno e la sua ulteriore evoluzione, infine, il trailer del futuro che mi si pone davanti agli occhi è il concetto di “intelligentilezza” naturale. Cosa significa? Che siamo proiettati in un’era in cui le macchine, l’intelligenza artificiale, si prenderanno cura di un pre screening utile a fornire le prime risposte agli utenti, in modo tale che chiunque, a basso costo, possa fissare gli obiettivi da raggiungere rispetto alle problematiche da superare. Penso a un primo livello di coaching gestito dall’AI e a un processo finale di potenziamento che vede entrare in gioco il senior coach. La sfida è trasformare la tecnologia in strumento democratico, che l’uomo deve programmare e controllare. Il closing, e quindi il momento in cui si arriva a definire il piano di azione e a verificare se ambizioni ed azioni sono correlate, è sempre umano. Questo, secondo me, è il futuro.

Fonte: Il Sole 24 Ore