Il Futuroremoto ha radici primordiali

Tra le mille proposte di Venezia in tempo di Biennale, capita di imbattersi in una mostra molto particolare, che dura appena dieci giorni (dal 18 al 27 aprile), aperta solo dopo il tramonto, con ingresso gratuito ma solo su prenotazione, per vedere “calchi di luce dal buio”.
“Futuroremoto” occupa il piano nobile di Palazzo Erizzo, sede della Fondazione dedicata al paleontologo Giancarlo Ligabue. Il figlio Inti Ligabue, presidente della Fondazione, da tempo inseguiva il sogno di aprire al pubblico il magnifico palazzo sul Canal Grande come sede espositiva, e ci è riuscito in queste circostanze del tutto speciali, una specie di prova generale per quello che nel 2025 sarà il “Palazzo delle Arti”.

Domingo Milella

Tutto è nato dall’incontro fortunato tra Inti Ligabue e l’artista Domingo Milella, che da un decennio svolge una personalissima ricerca sulle pitture rupestri. Milella (Bari, 1981) lavora con un grande banco ottico analogico che utilizza nelle grotte di alcuni dei grandi santuari della pittura preistorica in Europa: El Castillo, Chufin, La Pasiega (Spagna), Pech-Merle, Lescaux (Francia), La grotta dei Cervi (Italia).

Un lavoro scomodo, estenuante, nelle viscere della terra, nel buio più profondo, che richiede ore di paziente esposizione per catturare quei segni primigeni che alcuni esseri umani decisero di lasciare come tracce del loro passaggio, dichiarazioni di esistenza, o forse segni apotropaici, parte di un rito che ricollegava l’uomo a un universo che gli era totalmente incognito ma di cui pure faceva parte.

Palazzo Erizzo

Le dieci fotografie di grande formato che compongono la mostra (quasi tutte inedite), realizzate con questa tecnica che riporta a una fotografia essenziale, sono state esposte al piano nobile di Palazzo Erizzo, dove anche le pareti, per l’occasione, sono state scarnificate e riportate a nudo, all’originale cocciopesto. L’effetto è quello di una caverna in cui dal buio emergono immagini potentissime, provenienti da un passato arcaico ma che pure sentiamo vicino, perché ci parlano dell’essenza dell’essere umano, di istinti, sentimenti, passioni primordiali, della paura della morte, della ricerca del divino, dello stupore di fronte al cosmo.

Sono immagini di animali, scene di vita quotidiana, simboli o segni astratti, alcuni incisi sulla pietra, altri dipinti con guano o con pigmenti minerali ridotti in polvere o spruzzati con cannucce d’osso, lasciando le impronte di mani e dita al negativo, come degli stencil di 40.000 anni fa.Diventano non di meno testimonianze dell’insondabile, tracce di una dimensione che esula dallo spazio e dal tempo e di cui non conosciamo quasi nulla, così come nulla sappiamo del futuro.

Fonte: Il Sole 24 Ore