L’export agroalimentare cerca nuovi sbocchi e punta su Cina e sostenibilità

Giappone e Canada in crescita

Ne è un esempio il Giappone, cresciuto nel 2020 dell’8,6%, anche grazie all’entrata in vigore – nel 2019 – dell’Epa, l’accordo commerciale che ha aperto la strada a numerosi prodotti agroalimentari, soprattutto in termini di indicazioni geografiche tipiche. «Nonostante esca da un lungo periodo di stagnazione, il Paese rappresenta un mercato importante», commenta Terzulli. Gli effetti di un accordo commerciale (siglato nel 2017) si misurano anche sul Canada, che nel 2020 è cresciuto dell’8,9%. Al contrario, pur rimanendo un mercato appetibile, la Russia sconta i vincoli imposti nel 2016 all’import di moltissimi prodotti. Nella stessa area la Polonia rappresenta un mercato dal forte potenziale per l’export italiano: il report Ice-Prometeia ne identifica le ragioni nella crescita del reddito disponibile. Analogamente in Turchia – si legge ancora – i prodotti dell’alimentare italiano hanno conquistato una posizione privilegiata.

C’è poi il tema della meccanica strumentale legata al Food, come nel caso dell’India, grande esclusa dall’accordo Rcep e primo Paese al mondo per produzione agricola. «Una grande opportunità soprattutto per le catene di refrigerazione – dice Terzulli –. Il Paese ha un potenziale di crescita notevole e un ampio programma per attirare investimenti esteri. Anche qui comincia ad affermarsi una classe media che affina i suoi gusti e che va presa per tempo».

In Cina cresce la voglia di qualità

Detiene una quota minima (l’1%) dell’export agroalimentare made in Italy (il cui valore si aggira intorno ai 513 milioni di euro) e anche se lo scorso anno ha messo a segno una crescita del 16,3%, rimane fuori dai primi dieci bacini di approdo delle eccellenze italiane. Per questo la Cina rappresenta una tra le mete più attenzionate nella corsa ai nuovi mercati. Sullo sfondo l’accordo di libero scambio Rcep, siglato lo scorso anno da 15 Stati dislocati tra Asia e Oceania e destinato – secondo gli analisti – ad accelerare lo spostamento del baricentro del commercio internazionale verso Oriente.

Il processo è già in atto: a fronte di una classe media che cresce e che raffina i suoi gusti, il mercato cinese si apre a una crescente internazionalizzazione. E questo vale anche per il gusto alimentare. «Ma non è solo questione di palato», osserva l’avvocato Fabio Giacopello (studio Hfg) dal suo osservatorio privilegiato a Shangai. «È l’occasione di consumo che piace».

Chi da tempo ha fiutato il business è Fabbri, l’azienda specializzata nel dolciario e del beverage, celebre per la sua Amarena in sciroppo. In Cina dal 1999, l’azienda ha reso più strutturata e organica la propria presenza con la creazione della filiale Fabbri China, che dal 2009 presidia l’area curando l’importazione dei prodotti, la cui produzione rimane saldamente in Italia. «Dopo la pandemia – racconta il presidente Nicola Fabbri – il mercato cinese non è cambiato e questo si deve al lockdown ferreo, quasi militarizzato, imposto al Paese. Timidamente i cinesi hanno ripreso le proprie abitudini e anche noi ci stiamo riportando sulle stesse posizioni». Fabbri prosegue: «La pandemia ha favorito il programma quinquennale messo in atto dal presidente Xi Jinping, concentrato sulla crescita del mercato interno».

Fonte: Il Sole 24 Ore