Quando l’estraneo è familiare: “Stranieri Ovunque” alla Biennale di Venezia

Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere è l’evocativo titolo della sessantesima edizione della Biennale d’Arte 2024, a cura di Adriano Pedrosa, visitabile tra i Giardini e l’Arsenale fino al 24 novembre 2024. “L’espressione Stranieri Ovunque ha più di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”, spiega Pedrosa.

Non è un caso che nella maggior parte delle lingue la parola “straniero” sia associato al concetto di estraneo, mentre in portoghese “o estranho”, indichi la stranezza che nell’intimo è familiare. Un’ottima descrizione del mondo odierno, “pieno di crisi multiformi che esprimono differenze e disparità condizionate dall’identità, dalla cittadinanza, dalla razza, dal genere, dalla sessualità, dalla libertà e dalla ricchezza”.

Arsenale

Stranieri Ovunque non è solo il titolo della Biennale, ma è anche il nome delle colorate sculture al neon del collettivo Claire Fontaine – nato a Parigi e con sede a Palermo – esposte in Arsenale alle Gaggiandre. Le installazioni riportano in più di cinquanta lingue, tra cui alcune indigene estinte, le parole “stranieri ovunque”, evocando un senso di straniamento in una società altamente globalizzata: ciascuno di noi può essere straniero verso qualcuno o qualcosa nella propria vita. La Mostra è divisa tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale in due nuclei distinti: Nucleo Contemporaneo e Nucleo Storico. Il primo si concentra su soggetti connessi come l’artista queer, che si muove all’interno di diverse sessualità e generi; l’artista outsider, che si trova ai margini del mondo dell’arte tipico dell’autodidatta; il cosiddetto artista folk o popular; l’artista indigeno, spesso trattato come uno straniero nella propria terra.

Il Nucleo Storico invece è composto da opere del XX secolo provenienti dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia e dal mondo arabo e prevede tre sale nel Padiglione Centrale: la sala intitolata Ritratti (con opere di 112 artisti), la sala sulle Astrazioni (presenti 37 artisti) e una terza sala dedicata alla diaspora artistica italiana nel mondo lungo il corso del XX secolo (quaranta autori collocati negli espositori a cavalletto in vetro e cemento di Lina Bo Bardi, vincitrice del Leone d’Oro speciale alla memoria della Biennale Architettura 2021).

Padiglione Centrale ai Giardini

La prima opera notevole del Padiglione Centrale ai Giardini è il maestoso murale dipinto da MAHKU (Movimento dos Artistas Huni Kuin): il collettivo artistico indigeno proveniente dall’Amazzonia narra – attraverso settecentocinquanta metri quadri di visioni sacre mediate dall’ayahuasca – il mito di “kapewë pukeni” (l’alligatore che si offrì di traghettare gli uomini attraverso lo stretto di Bering e da cui venne tradito), una storia sulla separazione intercontinentale tra popoli e sul rafforzamento del legame tra stranieri. La riprova di come l’arte funga da mezzo di connessione e resistenza.

Fonte: Il Sole 24 Ore