Quote di genere per la dirigenza delle quotate?

L’Italia è fra i Paesi più virtuosi in Europa per presenza di donne nei cda delle società quotate e il target del 40% previsto dalla legge fa sì che nei prossimi anni il 36% attuale continui a crescere. Nota dolente sono le posizioni di ceo, che rappresentano in Italia solo il 2,4%, secondo un’analisi di Spencer Stuart. Svettano come esempi i Paesi del nord Europa, grazie anche alle politiche di welfare di supporto alle famiglie come in Svezia (20%), Irlanda (15%) e Danimarca (12%). Rimangono in linea con l’Italia Germania, Francia e Spagna. «Le quote ci hanno permesso di raggiungere il risultato nei cda. Perché non usare la stessa “forzatura” anche per i livelli dirigenziali? Si potrebbe stabilire un obiettivo al 2030 e creare un “Executive diversity index”. D’altra parte sono gli stessi investitori a spingere verso una maggiore diversità ai vertici delle aziende» propone Giovanna Galli di Spencer Stuart, che sottolinea la necessità che gli obiettivi siano misurabili e misurati.

I numeri in Spencer Stuart

Negli ultimi 5 anni Spencer Stuart che ha portato all’inserimento nei board di oltre 1.500 donne in tutto il mondo, di cui oltre 340 soltanto in Europa. Nello stesso arco temporale, il 43% degli inserimenti promossi dalla società nei board in Europa ha riguardato donne, un numero che è cresciuto sino a raggiungere il 59% nel 2020 e il 58% nel 2021. Se si considera solo l’Italia, negli ultimi 5 anni, Spencer Stuart ha inserito oltre 60 nuovi membri non esecutivi donne nei board, numero che rappresentano il 50% degli incarichi ricevuti in Italia.

«Sono 60 talenti che sono certa saranno delle vere e proprie mentor per le top manager che nei prossimi anni arriveranno a questi ruoli di responsabilità» spiega Galli, che aggiunge: «Tenuto conto della struttura imprenditoriale italiana dobbiamo sicuramente creare le condizioni per lavorare su questo tema al fianco delle aziende familiari e delle cosiddette mid corporate non quotate sia nelle fasi di passaggio generazionale ma anche sulla struttura di governance e sul tema della managerializzazione e la gestione dei talenti. Sono un asset della nostra struttura economica e produttiva che ha dimostrato di saper resistere anche al covid grazie ad una forte propensione all’internazionalizzazione».

La legge francese

L’introduzione di eventuali quote per la dirigenza delle aziende, di per sé da sola, è una misura che rischia di non funzionare se non inserita nell’ambito di un complesso di iniziative che creino una struttura della società più paritaria come è avvenuto in Francia e come la legge francese del dicembre 2021 disegna per il prossimo futuro rafforzando azioni già intraprese e inserendone di nuove.

«I passaggi che vediamo centrali sono una politica di welfare capace di creare le condizioni perché le donne possano vivere la maternità come un periodo inclusivo rispetto all’attività lavorativa e non come un’interruzione o peggio un’alternativa allo sviluppo della carriera: lo smartworking di questi mesi ce lo ha dimostrato» sottolinea Galli, che aggiunge: «Riteniamo molto importanti gli investimenti strutturali che derivano dal piano PNRR e che il Governo Draghi ha messo in campo in via prioritaria per gli asili nido e per i percorsi di formazione fino all’Università dove abbiamo visto che le donne hanno performance ragguardevoli. Sulle donne spesso in un’età in cui sono al culmine della carriera grava la cura dei genitori anziani, è un tema anch’esso di welfare e di ordine organizzativo che la digitalizzazione e lo smart working possono colmare, lo condivido perché credo sia uno spunto su cui ragionare insieme».

Fonte: Il Sole 24 Ore