2021 anno di svolta per l’Italia: e anche i manager dovranno cambiare

In questo periodo è molto facile imbattersi sui media in personaggi più o meno competenti e famosi che fanno la loro analisi del presente e propongono la loro idea del futuro. Tutte legittime ancorché plausibili, ma spesso superficiali e prive di concretezza. Le persone comuni, ma soprattutto le organizzazioni, coloro che hanno ambizioni di crescita professionale, i giovani, a quali fattori dovrebbero fare davvero attenzione e studiarne dinamiche evolutive in questo periodo?

Non è facile dare una risposta a questa domanda, ma è fondamentale porsela, per evitare di essere travolti dalla consueta inondazione di informazioni più o meno inutili cui siamo sottoposti ed essere colti impreparati da un futuro che probabilmente stravolgerà velocemente il mondo cui siamo abituati. Molti pensatori e futurologi se la sono posta, uno in particolare ha dato una chiave di lettura su cui riflettere, ed è utile conoscerla, per la particolarità del personaggio e per la sua interpretazione della realtà.

Loading…

Si tratta di Alec Ross, uno dei 100 uomini più influenti del mondo, imprenditore, autore e consigliere per l’innovazione di Barak Obama. È interessante la sua interpretazione perché Alec ha un cuore italiano (è nato in Italia e vissuto a Roma), ha una grande conoscenza del nostro Paese, ma è uomo di innovazione che dialoga quotidianamente con personaggi come Jeff Bezos, Bill Gates, Tim Cook. La sua lettura parte dal fatto che il 2021 sarà per l’Italia l’anno più importante dalla fine della Seconda guerra mondiale, e le decisioni che saranno prese ora influiranno per decenni sul futuro nostro e dei nostri figli.

Cita l’economista Joseph Schumpeter e Pablo Picasso: “Ogni atto di creazione inizia con un atto di distruzione”, che è quello che, pur senza macerie, abbiamo vissuto negli ultimi due anni. La crisi ha accelerato tendenze che covavano come braci sotto la cenere, ed ha evidenziato problematiche annose per il nostro Paese. Non dobbiamo fare l’errore di guardare indietro e cercare di ricostruire le cose come erano prima, ma guardare avanti, cercare di costruire qualcosa di nuovo, partendo dai processi che la crisi ha accelerato, primo fra tutti la digitalizzazione di interi comparti dell’economia, accettando il fatto che non è possibile resistere all’innovazione, ma che questa va abbracciata, afferrando le opportunità che ne deriveranno, e lasciando morire senza rimpianti le imprese, i processi, le idee, le infrastrutture obsolete che la tecnologia ha già condannato. Perché ne nasceranno di nuove che richiederanno nuove competenze e creeranno nuovi posti di lavoro.

Gli ultimi anni hanno dimostrato come la tecnologia è in grado di trasformare radicalmente interi comparti dell’economia. Se diciamo che la tecnologia odia i supporti e le infrastrutture fisiche, insomma “il ferro” come si dice in gergo, forse siamo grossolani, ma non siamo lontani della realtà. Pensiamo a come ha dematerializzato la musica, il gioco, la biglietteria aerea, i negozi, il cinema, il denaro, i processi di finanziamento, gli eventi, e fra pochi mesi impatterà sulla catena commerciale dell’auto disintermediando le concessionarie e facendo piazza pulita di autosaloni grandi come centri commerciali, piazzali ricolmi di vetture, venditori con la parlantina sciolta. Già, perché le auto si potranno configurare, ordinare e pagare su Internet e il dealer la dovrà solo consegnare e assicurare il servizio post-vendita. Questa sarà ancora una volta la parola chiave: servizio (sull’usato, sui finanziamenti, sulle coperture assicurative, ecc.), che dovrà essere erogato da persone competenti e aggiornate.

Fonte: Il Sole 24 Ore