La scultura fuori dalla comfort zone della fisicità

La Casa della Scultura, così ribattezzò la Fondazione Arnaldo Pomodoro questo luogo nato nel 1995 per volontà dello scultore, oggi 96enne e sempre il presidente, da anni sempre è un luogo aperto alla rilettura dell’arte del Novecento e alla creatività dei giovani artisti. Federico Giani è il curatore della Fondazione che dal 2006 organizza il Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, tra i pochi – in Italia e all’estero – dedicato a questo media al quale assegna un riconoscimento di 10.000 euro a un artista di età compresa tra i 25 e i 45 anni “la cui ricerca individuale esprima una riflessione sull’idea stessa e sulla pratica della scultura, ovvero un contributo significativo allo sviluppo della scultura nella sua contemporaneità”. Ed è proprio dalla contemporaneità della scultura che partiamo in questa intervista a Giani per farci raccontare le peculiarità di questo media ampiamente esplorato dagli artisti contemporanei e la sua discesa nel mondo virtuale.

La scultura esiste ancora nell’era dell’immateriale e del virtuale?
Il virtuale è uno dei temi più discussi di oggi e gli strumenti che si stanno sviluppando hanno potenzialità incredibili, che hanno già cambiato e cambieranno in futuro il nostro modo di relazionarci con la realtà. Ma, in generale su tutti gli ambiti di applicazione del virtuale, il piano tangibile non potrà mai essere completamente sostituito. La scultura, come oggetto fisico, come presenza materiale, contrapposta o in relazione al virtuale e all’immateriale esiste ancora e continuerà ad esistere. Istintivamente pensiamo alla scultura in contrapposizione con l’immateriale, perché la associamo, senza pensarci, a realtà tangibili come il legno, la pietra, il marmo, il bronzo… a qualcosa che c’è e che resterà. Ma la scultura non è solo questo, in realtà ha cominciato già da tempo a confrontarsi con il virtuale e il digitale, a uscire dalla sua zona di fisicità ed esplorare l’immaterialità.

Se la scultura esiste nell’immateriale quali sono le sue caratteristiche?
La scultura si confronta da secoli con dimensioni che non le attribuiremmo, per esempio con una temporalità effimera… ma questo ci porterebbe a divagare troppo. Sul tema dell’immateriale da almeno un secolo e mezzo la scultura esplora i confini del mondo fisico. Senza andare troppo indietro, basti pensare alle opere di Olafur Eliasson, che spesso sceglie di lavorare con la luce o con l’acqua, al limite tra materiale e immateriale, come nell’installazione «The Weather Project», realizzata nel 2003 per la Turbine Hall della Tate Modern di Londra. Prendiamo poi uno scultore come Christo, che ha una vocazione materiale così forte da lavorare con monumenti, ponti, edifici, isole e interi paesaggi… nel 2018 realizza uno dei suoi ultimi progetti, «The London Mastaba», un’installazione site specific galleggiante per il Serpentine Lake di Hyde Park a Londra, che nel 2020, con la sua autorizzazione, è stata trasformata in un’esperienza di realtà aumenta. Questo mi fa sorgere molte domande: il lavoro di Christo, che ha come orizzonte d’azione il paesaggio ma approva anche la versione digitale del suo lavoro, esiste solamente quando viene effettivamente e fisicamente realizzato? Forse nella progettazione che precede la realizzazione c’è già tutto… forse il lavoro di Christo è, in fondo, la visione prima ancora che la realizzazione tangibile di quella visione. Viene da domandarsi se la scultura, materiale per antonomasia, non possa piuttosto travalicare i limiti della fisicità.

La Fondazione per la quale lavoro si occupa di uno scultore, Arnaldo Pomodoro, che lavora principalmente con il bronzo…con oggetti che hanno una spiccata materialità! Ma con il Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura ci troviamo a esplorare anche quelli che sono i confini odierni della disciplina. Per la 5ª edizione, nel 2019, abbiamo premiato la scultrice Aleksandra Domanović (Novi Sad, 1981), che ha realizzato alla GAM di Milano un’installazione in realtà aumentata intitolata «The Falseness of Holes». I piani di riflessione sui confini tra materiale e immateriale erano molteplici: Domanović ha presentato un’opera sia fisica che digitale, incentrata proprio sul rapporto tra queste due dimensioni, e la componente fisica non era casuale, era una scultura di Medardo Rosso, uno dei primi scultori moderni a esplorare i confini dell’immateriale con il suo interesse per il rapporto tra corpi e luce. Le sue sculture di cera erano concepite come dispositivi per catturare la luce e spesso Rosso esponeva le fotografie delle sculture al posto delle sculture stesse… siamo a cavallo tra Otto e Novecento, e per quell’epoca un’operazione del genere era probabilmente già percepita come “scultura virtuale”! Il virtuale è una dimensione, uno strumento, e può esserlo anche per la scultura, così come tanti altri media: il materiale, la tecnica, la dimensione non dicono, di per se stessi, cosa sia scultura e cosa non lo sia.

Che cosa è cambiato nell’arte scultorea tra il XX e il XXI secolo?
Le grandi rivoluzioni nella scultura e nell’arte in generale, sia tecniche che concettuali, sono già state fatte tutte. Succede tutto nel XX secolo: Duchamp inventa il ready-made e inizia a scardinare le regole, e da lì in poi è una corsa a rapidi scatti, ad abbattere tutti quelli che erano i confini materiali, tecnici e concettuali che qualificavano la scultura come tale, e questo succede nel giro di cinquant’anni. Tempo qualche generazione e si passa da una situazione in cui la scultura è un linguaggio altamente codificato, lentamente limato e modificato per secoli, a una situazione che offre una polifonia di linguaggi, di forme e di temi, che è quella odierna. Il XX secolo spalanca al XXI secolo un orizzonte del possibile. Tutto è possibile in scultura, e questo in un certo senso rende la scultura un terreno precario, spaventoso. Se fino all’Ottocento i limiti sono piuttosto chiari, tu sai cosa può essere considerato scultura e cosa no, oggi non ci sono più norme. Gli scultori oggi devono fare un lavoro molto più impegnativo per definire e costruire il loro linguaggio, le loro forme, il loro discorso. Lo stesso vale per il pubblico: anche chi guarda viene sfidato a un lavoro più impegnativo.

Fonte: Il Sole 24 Ore