Amarone, nell’anno del Covid cresce l’export (+7%) ma crolla il consumo interno (-13%)

Profeta all’estero in forte difficoltà in casa. E’ la stagione dell’Amarone, tra i vini di pregio italiani più conosciuti e apprezzati sui mercati internazionali, vero e proprio ambasciatore del made in Italy non solo enologico. Una stagione che sarà analizzata nei dettagli i prossimi 26 e 27 febbraio nel corso della Valpolicella annual conference con oltre 100 stakeholders accreditati (80 dall’estero) tra operatori del trade e stampa specializzata e 1200 campioni (di Amarone, Ripasso e Valpolicella) inviati in 25 paesi e degustati sulla piattaforma zoom e sui canali social del consorzio in tre digital tastings.

Sono proprio le modalità distributive infatti ad aver determinato le fortune o meno dei celebri vini veronesi nel difficilissimo 2020. I numeri messi a punto da Wine Monitor di Nomisma e che saranno illustrati venerdì nel corso di un incontro proprio sulle tematiche distributive, metteranno infatti in luce le grandi difficoltà vissute dalle piccole cantine (quelle con una produzione inferiore alle 400mila bottiglie) più esposte con il canale della ristorazione mentre danni più contenuti hanno subito le aziende di maggiori dimensioni più forte nella grande distribuzione organizzata. I dati generali relativi a tutti i vini della Valpolicella mostrano la tenuta dell’export (-0,1%) mentre più in difficoltà (-9,6%) è risultato il mercato interno. La tenuta delle esportazioni è dovuta a una maggiore presenza all’estero della grande distribuzione rispetto ai ristoranti. L’Amarone ha visto addirittura crescere (+7%) le vendite all’estero, ma ha registrato anche un -13% sul mercato nazionale.

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Soffrono le piccole cantine

Le altre principali tipologie della denominazione (600 milioni di euro di fatturato e 8.400 ettari di vigneti) non hanno riportato alcun dato positivo: il Ripasso ha perso il 6% all’estero e il 5% in Italia, mentre il Valpolicella ha visto le proprie vendite calare del 3% all’estero e dell’8% in Italia. “I grandi rossi veronesi – ha spiegato il responsabile di Wine Monitor, Denis Pantini – hanno pagato il fatto di essere molto esposti sul canale della ristorazione. Come media della denominazione, avviene in bar e ristoranti tra il 40 e il 50% delle vendite, lo sbocco di mercato che ha sofferto di più. Bisogna spingere maggiormente sulla multicanalità in particolare per le piccole cantine. Le iniziative di direct marketing per piccoli volumi possono richiedere costi non proibitivi e rivelarsi un investimento per il futuro”. “La denominazione ha tenuto nell’anno peggiore – ha commentato il presidente del Consorzio di tutela vini della Valpolicella, Christian Marchesini – e questo è confortante. Non possiamo però ignorare l’asimmetria di un risultato che se da una parte dimostra la resilienza delle aziende medio-grandi, dall’altra penalizza oltremodo le piccole imprese. Numericamente l’87% delle aziende vitivinicole della Valpolicella produce meno di 250mila bottiglie l’anno, e questo è il target che ha sofferto di più e che dovremo salvaguardare immaginando nuove politiche di mercato e distributive”.

Fonte: Il Sole 24 Ore