Carcere, recidiva quasi azzerata per chi può imparare un lavoro

Due per cento contro quasi 70. Sono i due numeri che fotografano il ruolo dell’accesso al lavoro all’interno del sistema penitenziario. Due per cento è infatti il tasso di recidiva tra i 18.654 detenuti che hanno un contratto di lavoro, 70%, anzi 68,7%, è il tasso complessivo medio stimato su una popolazione carceraria che si attesta a 56.107 (dato al 2 febbraio 2023). Chi, cioè, ha la possibilità di lavorare durante la reclusione, quando finisce la sua detenzione di fatto non torna più a delinquere, confermando in questo modo lo strumento del lavoro come il più efficace per centrare l’obiettivo della sicurezza sociale.

A diffondere questi numeri è stato il Cnel, che ha anche annunciato l’istituzione al suo interno di una commissione per il lavoro carcerario. «Con questa commissione – spiega il presidente del Cnel, Tiziano Treu – vorremmo da un lato essere di stimolo a questo particolare segmento del mercato del lavoro e dall’altro mettere più a fuoco le esperienze positive svolte finora. Vorremmo inoltre continuare il confronto e avviarlo anche con i sindacati». Al centro, nell’immediato, il tema del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione, che rappresenta la percentuale maggiore, e la sua mancata professionalizzazione. L’interlocuzione con il sindacato del pubblico impiego, su questo aspetto, potrebbe aiutare lo svecchiamento del sistema con l’obiettivo di favorire l’acquisizione di competenze ma anche valorizzare il ruolo della polizia penitenziaria. Quanto invece al lavoro per le imprese private «bisogna intervenire sull’organizzazione ma soprattutto sulla comunicazione – prosegue – spesso cioè gli imprenditori non sono neanche a conoscenza delle varie possibilità».

Più sostegno per loro che devono misurarsi con una realtà complessa e con dinamiche precise e più accompagnamento alle attività per i detenuti. All’interno di una cornice che deve «prevedere anche delle risorse economiche», conclude Treu.

I numeri

Facciamo un passo indietro: il lavoro in carcere è stato introdotto con l’articolo 15 della legge 26 luglio 1975, n. 354, che individua il lavoro come elemento del trattamento rieducativo, stabilendo, al secondo comma, che, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa.

Negli anni, però, solo una parte minoritaria della popolazione carceraria ha avuto questa possibilità.

Fonte: Il Sole 24 Ore