Denis Diderot, il filosofo e critico d’arte alle biennali del Louvre

Il godimento estetico non gli faceva dimenticare la valutazione morale e lo spingeva a condannare, malgrado le innegabili qualità, L’odalisca di Boucher. Per farlo, accusava il pittore di avere «prostituito» la moglie dipingendola nuda. Abbracciare l’amato Greuze, nell’entusiasmo per l’edificante «Padre di famiglia spiega la Bibbia ai suoi figli», non gli impediva di lasciare intuire di avere avuto dei trascorsi con la sua bella moglie: «Questo pittore è sicuramente molto innamorato di sua moglie. L’ho molto amata quando era giovane…». Salvo poi sottolineare crudelmente l’invecchiamento della modella quando l’artista mostra la moglie scollata: «La tinta giallastra e la mollezza sono della signora, ma la mancanza di trasparenza e l’opacità sono del signore».

Deluso dal ritratto di Van Loo puntualizzava: «Non sono io. Avevo cento diverse fisionomie in un giorno, secondo quello che mi colpiva. Ero sereno, triste, assorto, tenero, violento, appassionato, entusiasta. Ma non sono mai stato così… ho una maschera che inganna l’artista, sia perché ci sono troppe cose fuse insieme, sia perché le impressioni si succedono molto rapidamente nella mia anima e si dipingono tutte sul mio viso». A quel punto, ammetteva Diderot, il pittore, travolto dal succedersi delle mozioni, si trovava davanti un compito molto difficile.

L’unico ritratto che gli piaceva gliel’aveva fatto un curioso personaggio, madame Therbouche, una capricciosa pittrice prussiana, decisa a tutti i costi a trionfare a Parigi. Sempre pronto ad aiutare, Diderot si era fatto in quattro, ma invano. Per ringraziarlo lei l’aveva dipinto a petto nudo. In realtà, confessava il critico, le cose erano andate diversamente. Lui era uscito dal paravento dove si era spogliato «nudo, ma proprio tutto nudo». La conversazione era ripresa con una «semplicità e un’innocenza degna dei primi secoli». L’artista non era «molto giovane, né carina», ma durante la seduta era stato sfiorato un incidente. «Dopo il peccato originale non si può comandare ogni parte del corpo come il braccio e ce ne sono alcune che vogliono quando il figlio di Adamo non vuole e non vogliono quando il figlio di Adamo vorrebbe».

Anche se le cronache di Diderot erano riservate a un’élite, qualcosa doveva esserne trapelato, perché nel 1781 era uscito un rendiconto dell’esposizione ironicamente intitolato Pique-nique convenable à ceux qui fréquentent le Salon, préparé par un aveugle, un cieco, un evidente richiamo alla Lettera sui ciechi di Diderot. Il tono saltellante, l’ostentata vivacità, il tentativo di fare dello spirito erano una pallida eco dell’inimitabile brio del filosofo. In quello che sarebbe stato il suo ultimo Salon si percepiva tutta la stanchezza dovuta a una salute sempre più precaria. Ma era rimasto profondamente impressionato dal Belisario di un debuttante Jacques-Louis David: «Lo vedo ogni giorno e mi sembra sempre di vederlo per la prima volta».

I Salons, Denis Diderot, A cura di Maddalena Mazzocut-Mis, Massimo Modica, Bompiani, pagg. 1.984, € 70

Fonte: Il Sole 24 Ore