“I misteri del bar Étoile”, una tragicommedia che funziona a metà

Tanti generi in un unico film: si può riassumere così “I misteri del bar Étoile”, curiosa pellicola uscita questa settimana nelle nostre sale.
Basta la prima sequenza per dimostrare i numerosi cambi di stile presenti in questo lungometraggio: in una nottata piovosa, l’ex attivista Boris sta lavorando come barista a L’Étoile Filante quando una delle sue vittime si presenta nel locale per reclamare vendetta. Il piano di quest’ultimo non va a buon fine, ma Boris dovrà capire come salvarsi dai prossimi attacchi. La comparsa di un sosia, il depresso e solitario Dom, sembra fornire al barista, alla sua ingegnosa compagna Kayoko e al loro fedele amico Tim un perfetto piano di fuga. Non hanno calcolato, però, l’intrusione dell’ex moglie di Dom, una sospettosa detective decisamente strampalata.

Scelto come titolo d’apertura del Festival di Locarno dello scorso anno, “I misteri del bar Étoile” è incorniciato dai toni tipici del noir, ma in mezzo si alternano passaggi comici con altri tragici e surreali.Dietro la macchina da presa ci sono Dominique Abel e Fiona Gordon, registi e attori che utilizzano i loro veri nomi per i personaggi che scelgono di interpretare, tornati dietro la macchina da presa a sette anni di distanza da “Parigi a piedi nudi”, fino a oggi il loro film più famoso.Indubbiamente “I misteri del bar Étoile” è un’esperienza audiovisiva particolare, vittima di alti e bassi, ma comunque capace di suscitare interesse per la sua struttura davvero anticonvenzionale.

Rimandi al cinema muto

Tra le particolarità della pellicola ci sono anche numerose gag che rimandano direttamente al cinema: il gioco dello scambio d’identità dà infatti adito a una serie di citazioni al cinema del passato, a partire dalla celebre sequenza del “finto specchio” ideata dal grande Max Linder nel 1921 in “Sette anni di guai” e poi ripresa da Groucho Marx ne “La guerra lampo dei fratelli Marx” del 1933.Non mancano momenti sorprendenti, soprattutto con l’approssimarsi della conclusione, ma sono altrettanti i passaggi prevedibili che sanno troppo di già visto e che finiscono per limitare l’effettivo coinvolgimento. Seppur il già citato “Parigi a piedi nudi” avesse delle basi più leggere e spensierate, anche in questo caso i due autori non abbandonano l’umorismo, unito però a un’amarezza e a una malinconia che riescono a trasmettere al pubblico un’affascinante atmosfera generale, nonostante i difetti di cui sopra.Una menzione totalmente positiva va all’ottima colonna sonora, ricca di musiche capaci di far empatizzare al meglio gli spettatori con la surreale vicenda che viene raccontata.

Gloria!

Tra le novità della settimana c’è inoltre “Gloria!”, opera prima di Margherita Vicario, cantautrice e attrice che ha scelto di fare il grande passo posizionandosi anche dietro la macchina da presa.Presentato in concorso al Festival di Berlino, “Gloria!” è ambientato in un collegio femminile nella Venezia d’inizio diciannovesimo secolo. Qui vive una ragazza solitaria, apparentemente muta, che si chiama Teresa ed è dotata di uno straordinario talento musicale di cui nessuno sa niente. La giovane riesce addirittura a percepire l’armonia dell’universo attraverso la musica, come dimostra la notevole sequenza iniziale.Mentre all’interno dell’istituto tutti sono impegnati per l’imminente visita del nuovo Papa appena eletto, a partire dal sacerdote che sta cercando di realizzare una nuova composizione per il Pontefice, Teresa scopre in una stanza segreta una nuova invenzione, un pianoforte. Mentre inizia a esercitarsi di nascosto, quattro ragazze del collegio si uniranno a lei per dare vita a una sorta di gruppo musicale appassionato di tonalità profondamente moderne e distanti dalle idee vetuste presenti nel luogo in cui si trovano.

Dedicato alle tantissime compositrici che sono state nascoste dalle pagine della Storia, “Gloria!” è un film che mette al centro della vicenda un racconto di “sorellanza”, mostrando il sostegno che le ragazze si danno tra loro e in particolare l’aiuto verso una del gruppo che attraverserà un momento di grande difficoltà.Inizialmente coinvolgente e ricco di interessanti sfumature psicologiche, il film purtroppo cala parecchio alla distanza, arrivando al finale col fiato corto e a una sequenza conclusiva non all’altezza delle buonissime cose viste in precedenza.La messinscena elegante e la fotografia che colpisce per i giochi chiaroscurali decisamente suggestivi fanno comunque ben sperare per il futuro di un’esordiente ancora un po’ acerba, ma già capace di mostrare un buon talento e una notevole sensibilità estetica.

Fonte: Il Sole 24 Ore