Oltre l’oceano, le Seychelles si esplorano con il trekking

Henry Morton Stanley non aveva alcuna intenzione di fermarsi alle Seychelles quando da Zanzibar capitò in quella manciata di isole nel Tropico del Capricorno. Era il marzo 1872, e con un grande scoop in mano, il reporter del New York Herald si accingeva a rientrare, esausto dopo quattro mesi trascorsi sul Lago Tanganica per ritrovare ritrovato il grande (e disperso) esploratore David Livingstone. Arrivato a Mahé, la più grande delle Seychelles, con l’intenzione di imbarcarsi su una nave che faceva rotta tra la Cina e Marsiglia, scoprì che il battello era partito da dodici ore. Non gli restava che abbandonarsi a un riposo forzato: affittò dunque una casa sull’altura che dominava la piccola capitale Victoria, dove restò un mese prima di riprendere il mare.

Molto è cambiato in quella casa sul Chemin St. Louis dove visse Stanley: Madame Kathleen Fonseka ne ha fatto un ristorante di cucina creola, il Marie-Antoinette, tra i più antichi dell’isola, e se non fosse per i tavoli di bambù, la casa avrebbe ancora intatto il suo sapore coloniale, grazie alle torrette rosse, il tetto spiovente in lamiera e le persiane in profumato legno di takamaka.

All’epoca di Stanley le Seychelles, arcipelago di 115 isole tra l’Equatore e il 10° parallelo Sud, Mahé non andava certo di moda. Le spiagge di Anse Intendance e Takamaka, per esempio, erano esclusivo territorio delle tartarughe di mare e la barriera corallina respirava ancora intatta. A quel tempo i promontori, le pianure e i rilievi all’interno dell’isola avevano già preso i nomi di Sans Souci, Chemin Montagne Posée, Roche Gratte Fesse, Cap Malheureux, Monte Cachée, evocativi di quella geografia della nostalgia che segna molte isole dell’Oceano Indiano. La vita ruotava intorno alla produzione di olio di copra, la polpa del cocco essiccato, buono per cucinare e lucidare le chiome delle signore.

La corteccia di cannella, arrivata dallo Sri Lanka intorno al 1768 con un tale “Monsieur Poivre”, intendente dell’isola di Mauritius originario di Lione, veniva fatta essiccare in forni rudimentali. Poivre voleva fare acclimatare alle Seychelles, per rompere il monopolio olandese sul commercio del pepe, le piante dall’odore pungente provenienti dal Mare di Java: oltre alla cannella, anche la noce moscata, l’eugenia aromatica, il cumino, il pepe, lo ylang-ylang, una storia raccontata oggi nel Jardin du Roi, il giardino botanico sulla collina in dolce pendenza in prossimità di Anse Royale.

Il segno più armonico dell’art de vivre delle isole, almeno in quelle più sviluppate – Mahé, Praslin e La Digue -, fu l’architettura delle dimore coloniali immerse nelle piantagioni di cocco, cotone e canna da zucchero, adattate al clima dei tropici. Case come Union Estate a La Digue, Plaine St. André, Domaine de Val des Pres e il Kreol Istitute su Anse aux Pins a Mahé erano costruite in funzione dei venti, della pioggia e della luce, e nella immancabile veranda ci si accomodava per gustare la limonata, spremuta di fresco, prima di pranzo, e il rhum preparé, invecchiato con buccia d’arancia e vaniglia, dopo cena, ma riservato solo ai gentiluomini. Un concept architettonico ripreso anche nei resort di prossima apertura, dal Laila su Anse Royal (del gruppo Marriott), al Canopy by Hilton su Anse la Mouche e al Waldorf Astoria su Ile Platte, 130 km a sud di Mahé, il primo 6 stelle delle Seychelles con una quarantina di ville immerse nella foresta di palme.

Fonte: Il Sole 24 Ore