Immobili, la corsa da 25 miliardi delle imprese che vendono e riaffittano

«Imprese di medie dimensioni, managerializzate ma di proprietà familiare, innovative, esportatrici e con una produzione manifatturiera radicata sul territorio. Affidabili e dai fondamentali solidi. È sui loro asset immobiliari – capannoni, magazzini, uffici – che puntiamo a investire, in un’ottica di lungo periodo, che a noi assicuri flussi di cassa e conferisca agli imprenditori liquidità per rilanciare strategie di crescita». Lo spiega a Il Sole 24Ore Christopher Mertlitz, head of European Investments, W. P. Carey, che un mese fa ha acquisito il portafoglio degli immobili di Fedrigoni (colosso della carta) in Italia, Germania e Spagna conferendoli a un fondo gestito da Savills Investment Management Sgr Spa nel quale il fondo immobiliare net lease statunitense – specializzato in vendite con patto di locazione e infrastrutture su misura (build-to-suit), quotato a Wall Street e con un volume di investimenti 2023 da 1,3 miliardi di dollari – è l’investitore: un sale & lease back su 16 impianti ceduti per 280 milioni di euro.

Il business

Italia sempre più nel mirino della cosiddetta “vendita con patto di locazione” (appunto sale & lease back), cioè la pratica in base alla quale un imprenditore cede un immobile strumentale e “mission critical” ad un fondo immobiliare specializzato. Dopo la cessione, il fondo concede alla stessa impresa venditrice in affitto il bene a fronte di un canone periodico di lunga durata, normalmente triple o double net, ossia con costi e manutenzioni a carico del tenant. Un fenomeno che in Italia non ha ancora numeri.

I numeri

Come riporta Clarion Partners su dati Bce, le circa 700 cessioni di asset aziendali, avvenute nell’area Emea, nel 2021, hanno superato i 29 miliardi di euro, circa il doppio del volume del 2010. Un dato che negli anni successivi -secondo Jll – si è mantenuto, mediamente, attorno ai 25 miliardi. Il 60% delle transazioni riguarda i segmenti industrial/ logistics ed uffici. Per il resto, si tratta di retail, hotel, strutture sanitarie (Healthcare) e altri asset alternativi. Oltre il 50% delle operazioni dell’area Emea si concentra, invece, tra UK, Francia e Germania. Complessivamente, si stima che il mercato immobiliare europeo di proprietà aziendale valga circa 5,7 trilioni di euro.«È una strategia win-win – spiega ancora Mertlitz – perchè proventi della vendita aumentano la liquidità per l’azienda, che può essere utilizzata per scopi come capitale circolante, capex, ricerca e sviluppo e acquisizioni, mentre il capitale allocato sull’immobile viene liberato e la società può concentrarsi sul proprio core business».

Nel corso del 2023, W. P. Carey (che ha in portafoglio oltre 1400 proprietà) si è concentrata sull’acquisizione di asset industriali e magazzini con un unico inquilino, che hanno rappresentato circa il 75% del volume annuale degli investimenti. Dal punto di vista geografico, circa l’80% degli investimenti della società è stato effettuato in Nord America, mentre il restante 20% in Europa.

Il nodo bancario

«Riteniamo che in Europa, e in particolare in Italia – ha concluso Merlitzt – ci siano molte opportunità e stiamo selezionando alcune operazioni per il 2024». «Quella del sale & lease back è una tendenza diffusa da decenni negli Usa ma in crescita negli ultimi due anni in Italia, dove era poco utilizzata perchè sostituita dalle operazioni di leasing effettuate dalle banche – ha spiegato Claudio Nardone, ceo di Sagitta Sgr -. Che però erano finanziamenti. Mentre qui c’è una cessione del bene. Un fenomeno inversamente proporzionale alla disponibilità di prestito delle banche. Quando i tassi si abbasseranno, potremmo vedere un rallentamento». Il fenomeno è accentuato da tre fattori. «Il primo – ha aggiunto Nardone – è la convenienza delle società specializzate Usa a fare arbitraggio patrimoniale. Fanno raccolta di finanziamenti Oltreoceano e poi vengono a investire in Europa dove c’è un maggiore spread di rendimento, quindi margini più alti rispetto a quelli del Paese di origine. Il secondo fattore è il credit crunch delle banche che apre maggiori spazi agli alternative lenders. Infine – conclude Nardone – la crescente managerializzazione delle Pmi migliora la penetrazione di strumenti innovativi di finanziamento».

Fonte: Il Sole 24 Ore