Artigianato, eventi, ristoranti: la nuova Venezia punta sulla qualità

A dire il vero un lento cambiamento era già cominciato prima del Covid. Ma è stato questo fermarsi globale a dimostrare come, senza folla, la città potesse tornare immacolata, silenziosa, con leggendari delfini che saltano nel Canal Grande. Ma tant’è: mentre si pensa a come limitare gli ingressi e a mantenere, almeno in parte, l’idillio conquistato, la stagione è cominciata a fine aprile con le vernici dell’arte contemporanea, concentrate nella settimana di apertura della 59esima Biennale dell’Arte (fino al 27 novembre), quest’anno intitolata «Il latte dei sogni» e curata da Cecilia Alemani, prima donna italiana in questo ruolo. È un’edizione decisamente femminile, con 191 artiste tra i 213 nomi presenti, senza contare le mostre sparse in città, da «Surrealismo e magia», con opere di Leonora Carrington e altre pittrici alla Collezione Peggy Guggenheim (fino al 26 settembre) a «Open-End», la personale di Marlene Dumas a Palazzo Grassi (fino all’8 gennaio 2023), alle sculture di Louise Nevelson alle Procuratie Vecchie (fino al 9 settembre).

Proprio quest’ultimo è uno spazio restituito alla città dopo secoli di chiusura e degrado: il palazzo del Gruppo Generali in piazza San Marco è stato ristrutturato da David Chipperfield con un progetto conservativo che valorizza le pareti di mattoni a vista originali e la prospettiva di archi che dividono bar, area coworking, sala di lettura e un museo interattivo sulle potenzialità umane.

Mostre da esplorare e luoghi da ri-scoprire

Affascinante nella sua decadenza, non ancora restaurata, anche Palazzo Manfrin ha aperto negli stessi giorni per ospitare le monumentali opere carnali di Anish Kapoor, che qui creerà la sua fondazione. La mostra continua anche alle Gallerie dell’Accademia, dove altri lavori dell’artista indiano si alternano alle sculture di Antonio Canova (fino al 9 ottobre) e alle tavole trecentesche della sala capitolare. Ma l’arte a Venezia non è solo Biennale. In ogni periodo dell’anno, per esempio, si possono percorrere gli itinerari storici che ricostruiscono il lavoro di Carlo Scarpa. Designer eclettico degli anni Cinquanta, ha realizzato in tempi record il negozio Olivetti in piazza San Marco, una sorta di Apple Store ante litteram, nonché modello intramontabile di interior decoration e oggi museo gestito dal Fai. Suoi sono anche il giardino della Fondazione Querini Stampalia, l’allestimento della prima sala delle Gallerie dell’Accademia, il portale d’ingresso dello Iuav e l’Aula Magna di Ca’ Foscari. Ma questi sono solo esempi, perché l’influenza di Scarpa si legge ovunque, anche nei dettagli contemporanei del St Regis Venice, che organizza per gli ospiti visite guidate nei luoghi dell’architetto.

Lo choc di Kiefer e le meraviglie di Fortuny

I dodici musei civici, a volte dimenticati a parte Palazzo Ducale, dove è esposto un ciclo di dipinti site specific di Anselm Kiefer («Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce», fino al 29 ottobre), rappresentano un patrimonio da riscoprire che va dall’archeologia alla storia del costume. Tra questi, il Museo Fortuny ha riaperto il 9 marzo rinnovato e con un allestimento che evidenzia la genialità del suo proprietario Mariano Fortuny, detto il «Leonardo da Vinci del ’900» per la sua creatività in molti campi, dai tessuti alla moda, dalla pittura allo spettacolo. Con l’amico Gabriele d’Annunzio aveva infatti progettato un teatro delle feste all’aperto con copertura mobile, che non fu mai realizzato, diversamente da tante altre invenzioni, come quel modo mai svelato di plissettare la seta per l’abito Delphos, peplo in taglia unica e senza cuciture tuttora nelle vetrine delle boutique Fortuny.

Basta con la paccottiglia!

Per fortuna, i chioschetti di cianfrusaglie sono sempre più raggruppati in isole evitabili, mentre l’alto artigianato locale sta attraversando una stagione florida grazie all’impegno di maestri del vetro, mosaicisti, maschereri, impiraresse e battiloro. E grazie a manifestazioni come Homo Faber, che in aprile ha portato sull’isola di San Giorgio più di 400 manufatti da 58 Paesi realizzati da «tesori umani viventi» – così vengono definiti gli artigiani giapponesi depositari di mestieri antichi –, un patrimonio straordinario e sostenibile perché, come dice Alberto Cavalli, curatore dell’esposizione, «fa sentire la sua voce attraverso il lavoro quotidiano».

Fonte: Il Sole 24 Ore