Il vino vede rosa: l’export riprenderà quota a partire dal 2025

Dopo un 2023 difficile e gli ultimi mesi di incertezza, l’export di vino made in Italy si appresta a vedere la luce alla fine del tunnel e a tornare scoppiettante come in passato già a partire dal 2025. La buona notizia, giusto alla vigilia del Vinitaly, arriva dai consulenti di Bain & Company, che nel loro ultimo outlook sul settore vitivinicolo italiano prevedono una crescita media annua delle esportazioni fra il 3 e il 4% a partire dall’anno prossimo.

Dopo vent’anni di costante crescita media del 4-5% all’anno, l’export di vino made in Italy aveva un po’ illuso tutti gli operatori che il trend sarebbe continuato in eterno. E invece, il periodo di inarrestabile crescita negli ultimi tre anni si è interrotto: la prima volta nel 2020 a causa del Covid, che ha determinato una discesa dell’export del 2% a valore; la seconda volta nel 2023, quando le esportazioni sono complessivamente calate dell’1% a valore, con picchi negativi del -5% negli Stati Uniti, tradizionale locomotiva dell’export per il vino italiano. Non tutte le destinazioni, per la verità, l’anno scorso hanno registrato il segno meno: i flussi verso Germania e Regno Unito, rispettivamente secondo e terzo mercato per l’export italiano, sono cresciuti rispettivamente del 3% e del 4% a valore mentre la Francia, pur rappresentando un mercato di sbocco relativamente contenuto, ha addirittura messo a segno un +10%.

Chi trainerà dunque la ripresa dell’export del vino italiano? Secondo Bain & Company, ancora una volta il protagonista dello scatto sarà il Prosecco, che continuerà a crescere a valore sopra le media del mercato. Questo perché, nel mondo, i consumatori continueranno a prediligere i vini più leggeri, facili da bere e anche da mixare, come appunto quelli frizzanti. In questo contesto, anche gli altri bianchi cresceranno bene a valore, mentre per i rossi, soprattutto quelli di maggior corpo, continuerà il trend di complessiva contrazione dei volumi. Fanno eccezione i vini super-premium, che fanno corsa a sé: i grandi piemontesi, per esempio, da qui al 2027 cresceranno del 6-7% all’anno sui mercati scandinavi, mentre i Super Tuscan accelereranno la corsa negli Stati Uniti.

Quel che conta, per assicurarsi il successo sui mercati esteri, sarà saper fare aggregazione: «Piccolo non è sempre bello – sostiene Sergio Iardella, senior partner di Bain & Company – se dopo un periodo difficile ci sono elementi per essere positivi sul futuro, è anche vero che questo contesto turbolento richiede di accelerare il salto di qualità delle nostre aziende del vino. Alcuni passaggi sono imprescindibili: le aggregazioni, anche spinte da sponsor finanziari e in alcuni casi dal ricambio generazionale, sono necessarie per potere competere sui mercati internazionali».

L’altro elemento fondamentale, secondo Bain & Company, per aumentare le esportazioni è quello di spostare i prodotti sempre più verso la fascia premium: «Il focus della differenziazione – sostiene Iardella – non deve essere solo il contenuto dalla bottiglia. È necessario utilizzare tutte le leve del marketing: dal packaging, oggi spesso poco distintivo e riconoscibile, fino alle attività sui punti vendita. Il vino ha molto da imparare da altre aziende del comparto beverage, come gli spirit utilizzati per i cocktail, o anche da chi sta inventando nuove categorie, come gli hard selzer negli Usa. Bisogna puntare su una comunicazione più esperienziale, imparando anche ad associare il prodotto vino ad occasioni di consumo più in linea con le nuove generazioni». L’innovazione del settore, insomma, non deve più rimanere limitata al recinto dei rosé e di tutto il mondo dei vini frizzanti: «Occorre trovare soluzioni strategiche più discontinue – conclude Iardella – per esempio, cogliendo le opportunità offerte da mondi oggi in rapido sviluppo come quello della bassa gradazione alcolica o dell’alcool-free».

Fonte: Il Sole 24 Ore