La Biennale fra identità e mercato

La 60ma Biennale di Venezia, nonostante l’apertura in competizione con la settimana del Design a Milano, ha attirato la consueta presenza di artisti, curatori, gallerie e collezionisti più o meno milionari, fra cui Della Valle e il suo yacht Altair.
La centralità dell’istituzione nell’oramai affollatissimo panorama dell’arte non viene solo dalla sua longevità, ma anche dalla impostazione internazionale e dall’implicito rapporto con il mercato.
Coesistono tre diverse realtà sotto lo stesso cappello: la componente curata, affidata in questo caso a Pedrosa, l’insieme delle rappresentanze nazionali, secondo lo schema ereditato dalle Esibizioni Universali di fine ‘800, e gli eventi collaterali.
Le relazioni con il mercato che inevitabilmente si determinano sono strutturalmente diverse in ciascuna delle componenti.

La Biennale di Pedrosa

La componente curata divisa fra le sedi di Arsenale e Padiglione centrale dei Giardini è quella che dovrebbe almeno sulla carta subire meno l’influenza delle gallerie, poiché dispone di autonomia decisionale ampia ed un budget relativo. La scelta esplicita del curatore è di mettere al centro realtà il larga misura periferiche rispetto all’attuale geografia del mercato e della ricchezza della domanda. Il risultato è una decisa prevalenza della pittura figurativa, spesso con elementi che si è soliti chiamare Naïf, e lavori tessili di grandi dimensioni e colori sgargianti .In termini di contenuto, l’unico fattore rilevante pare quello di natura Identitaria: l’opera d’arte scompare in lontano secondo piano, assorbita in modo quasi totale dalla dimensione personale dell’artista in termini di cultura di provenienza, colore della pelle, o scelta di orientamento sessuale. È interessante notare come una gran parte degli ‘artisti migranti’ abbiamo studiato o vivano molto spesso in Europa e Stati Uniti, dove evidentemente trovano la libertà necessaria per esprimersi, e la domanda di un mercato dell’arte relativamente libero e prospero, entrambi elementi essenziali per il loro successo. I visitatori dell’Arsenale incontrano nella prima sala due artisti non certo ignoti: l’opera neon del collettivo femminile ventennale Clare Fontaine basata a Palermo, che porta il titolo della Biennale ‘Stranieri Ovunque’ e il manichino di Yinka Shonibare che suggerisce una critica al colonialismo delle esplorazioni. I suoi manichini coperti con tele batik vengono regolarmente in asta e nelle diverse gallerie con cui collabora fra cui Goodman Gallery, con prezzi nelle centinaia di migliaia di dollari.Il curatore ha inserito anche artisti viventi recentemente ‘riscoperti’ come Greta Schold, ultra-novantenne bolognese di origine austriaca, supportata dalla galleria Richard Saltoun che ne presentava il lavoro la settimana precedente al miart con prezzi da qualche migliaio a poche decine di migliaia di euro per delicati e poetici lavori su carta e sculture, simili a quelli in Biennale. Il lavoro di recupero di artiste dei decenni passati da parte della galleria anglo-italiana è stato premiato con ben quattro presenze in Biennale di cui tre nelle sezioni storiche: Romany Eveleigh, Bertina Lopes (mozambicana vissuta a Roma 1924-2012, con opere figurative anti-colonialiste) ed Erica Rutherford (transgender Pop Art).
Poetica la ricontestualizzazione fotografica della favola del Piccolo Principe proposta da River Claure, giovane fotografo boliviano con la serie ‘Warawar Wawa’. Interessante il recupero delle tecniche del mosaico proposto dal libanese Omar Mismar, rappresentato da Hauser&Wirth, che trova un modo per storicizzate l’attualità e rivendicare l’omosessualità in un contesto che, a differenza di quello occidentale della Biennale in cui non si può certo dire sia una novità, porta a discriminazioni e violenza. Nell’ambito del recupero del ritratto nella pittura, campeggiano le grandi tele a sfondo omogeneo del brasiliano Dalton Paula rappresentato dalla Se’ Galeria di São Paulo. In entrambe le location si trovano sezioni esplicitamente dedicate alla questione dell’identità sessuale, principalmente omosessuale, di cui il pakistano newyorkese Salman Toor enfatizza la dimensione politica, mentre assumono una dimensione esplicitamente erotica con la giustapposizione di nudi classici di de Pisis accanto a monumentali dipinti di orge e nudi di Louis Fratino; i due artisti viventi raggiungo regolarmente prezzi nelle centinaia di migliaia di euro in asta, quando non sfiorano il milione di dollari, e godono del supporto di gallerie come M Woods e Sikkema Jenkins rispettivamente. Il tema è già quindi ampiamente parte del discorso cultura ed artistico, e sarebbe stato più interessante proporre nomi meno noti. Nel cortiletto semi-abbandonato concepito da Carlo Scarpa si trova la statua nuda transgender ‘Woman’ della trentenne artista nota come Puppies Puppies, che manca di originalità rispetto all’interpretazione antica greca e romana del tema.

Due presenze femminili italiane, entrambe residenti fuori dal paese: a Londra Alessandra Ferrini che presenta una video installazione dedicata al complesso rapporto fra la Libia di Gheddafi e l’Italia berlusconiana, già premiata al MAXXI Bvlgari Price 2022, e Giulia Andreani (classe 1985), veneziana che vive a Parigi presente con grandi tele in bianco e nero che riproducono fotografie storiche legate alla condizione femminile, presente anche nella Collezione Maramotti.

Focus sull’arte storica

Un discorso a parte merita l’importante presenza di diverse decine di artisti del secolo scorso, presentati in stanze separate e quindi senza alcuno sforzo per integrarle o farle dialogare col presente. Nell’Arsenale ciò si traduce nella Sezione dedicata agli italiani emigrati, che comprende nomi di grande peso anche economico come Gnoli, Modotti, Sassu e Maiolino i cui dipinti sono elegantemente presentati secondo un allestimento studiato dalla Italo-brasiliana Lina Bo Bardi una sessantina di anni fa. La caratteristica scarpa iperrealista di Gnoli è certamente uno dei lavori più cari in mostra, stimabile per tema e dimensione ben oltre i due milioni di euro.

Ai Guardini vi sono ben due aree dedicate al Nucleo storico, la prima focalizzata sull’astrazione e le geometrie degli anni 60-70 che ruota attorno ai lavori di bambù dipinti dalla brasiliana Ione Saldanha, circondati da opere a parete fra cui spiccano i tessili della ben nota Olga De Amaral, colombiana 92enne, gli acrilici di Esther Mahlangu sudafricana di 89 anni collezionata anche da Jean Pigozzi, e dipinti dai caratteristici campi colorati di Etel Adnan, libanese francese presente con un lavoro del 1965, regolare presenza del mercato in asta nelle centinaia di migliaia di euro. Prosegue la carrellata di presenze già consistenti sul mercato con Carmen Herrera, artista cubana americana, e Tomie Ohtake giapponese emigrato in Brasile (1912-2016). Interessante riscoprire il pop geometrico degli anni ‘60, la fase romana del brasiliano Rubem Valentim (1922-91). Il Nucleo storico ritratti, prestato a stile quadreria, vede diverse artiste protagoniste anche del mercato come Tarsila do Amaral, cubista brasiliana già esposta alla Biennale del 1964, la sudafricana Irma Stern le cui quotazioni soprattutto nel suo paese d’origine volano regolarmente a sei e sette cifre, il surrealista Wilfredo Lam cubano a Parigi che gode di un enorme mercato secondario, la coppia messicana Frida Kahlo e Diego Riviera, con le quotazioni della prima ben più alte di quelle del marito e regolarmente nell’ordine dei milioni di dollari, come per gli artisti indiani Souza e Kumar.

Fonte: Il Sole 24 Ore