WeWork, la riorganizzazione post bancarotta non tocca l’Italia

L’attività di riorganizzazione strategica di We Work derivata dalla bancarotta non coinvolgerà l’Italia, dove l’operatività rimarrà la stessa. A farlo sapere è proprio il colosso americano del coworking, che dopo anni di difficoltà finanziarie ha annunciato il 6 novembre scorso il fallimento, facendo richiesta di protezione dai creditori in base al cosiddetto “Chapter 11». La società, che aveva già fatto sapere che la misura avrà un impatto sulle operazioni solo negli Stati Uniti e in Canada, torna sul tema per tranquillizzare i mercati italiani.

«Questo processo (di riorganizzazione, ndr) non include le attività di WeWork in Italia, che opereranno come al solito – fanno sapere da WeWork –. In tutto il mondo continuiamo ad adottare misure proattive per rafforzare la nostra azienda, compreso il ridimensionamento del nostro patrimonio immobiliare. WeWork è qui per restare e abbiamo intenzione di rimanere nella maggior parte dei mercati anche in futuro. Il nostro focus restano i nostri membri e il continuare a garantire un’offerta di prodotti e spazi di prim’ordine per soddisfare le loro esigenze lavorative, in continua evoluzione».

La società rende inoltre noto di avere il forte sostegno dei suoi principali stakeholder finanziari, e di aver stipulato un accordo di sostegno alla ristrutturazione (“Rsa”) con i detentori che rappresentano circa il 92% delle obbligazioni garantite, che riduce l’attuale debito finanziato della società di circa 3 miliardi di dollari.

Il fallimento

La società di coworking era diventata un colosso nel settore, dando forma a un trend rivelatosi vincente e arrivando ad avere il maggior numero di uffici di tutta Manhattan nel 2019. Dopo la quotazione in borsa del 2021 però, sono arrivate le difficoltà finanziarie, che hanno portato al licenziamento di migliaia di persone e al crollo della valutazione sul mercato a meno di 200 milioni di dollari. Le cause secondo l’azienda sarebbero da ricondurre a perdite finanziarie, fabbisogno di liquidità, calo del numero degli inquilini e contratti ingombranti difficili da annullare.

Ora WeWork si trova quindi a dover rivedere e rinegoziare i contratti di locazione degli spazi e chiudere le sedi poco performanti, ma le misure non toccheranno l’Italia, dove la società è presente con cinque sedi, tutte collocate a Milano. Rimane però la lenta crisi strutturale del coworking innestata dalla pandemia, che ha sdoganato il lavoro da remoto e messo a dura prova gli spazi di collaborazione.

Fonte: Il Sole 24 Ore